ALIEN SPARTACUS

La saga cinematografica di Alien può essere vista come una epopea xenocomunista?

ALIEN SPARTACUS
Lettura boomer
La saga di Alien, iniziata nel 1979 con il capolavoro di Ridley Scott, si è arricchita quest'estate di un nuovo capitolo: Alien: Romulus, il settimo della serie.

Concedetemi un piccolo riassunto noioso di tutti i film.

Il film originale, thriller claustrofobico ambientato su un’astronave mercantile – un’innovazione narrativa che permette di concentrarsi su personaggi comuni anziché su eroi – racconta la storia di un equipaggio inviato a investigare un segnale di soccorso proveniente da un satellite: lì si trova ad affrontare una terrificante minaccia aliena.

Nel lungometraggio s’introduce Ellen Ripley, la celebre protagonista dal fascino androgino, e lo Xenomorfo, la creatura aliena biomeccanica ideata da H.R. Giger e costruita da Carlo Rambaldi, diventata ormai un’icona pop. Il suo ciclo vitale, che passa attraverso diverse fasi (dall'uovo al facehugger, fino alla forma adulta), è tanto affascinante quanto inquietante.

La pellicola esplora il conflitto tra istinto animale, simboleggiato dalla presenza di un gatto a bordo, e la sua negazione, rappresentata dall’alieno (la cui freddezza, non a caso, affascina un androide presente nell’equipaggio). L’uomo si colloca in una posizione intermedia, utilizzando la razionalità e la moralità che alieni e animali non possiedono.

Il successo di Alien fu inaspettato, specie considerando le sue origini. Secondo lo sceneggiatore Dan O’Bannon, l’idea iniziale era di realizzare un remake horror di Dark Star, un suo progetto studentesco, commedia fantascientifica diretta da John Carpenter.

La sceneggiatura, che conteneva riferimenti al cinema di fantascienza americano degli anni Cinquanta e al gotico europeo dello stesso periodo, fu poi rimaneggiata dal regista Walter Hill, anche produttore del film. Così il film si avvicinò alla versione che conosciamo oggi.

Nel 1986, James Cameron, regista e sceneggiatore, firma Aliens – Scontro finale. L’universo narrativo si espande: non più un singolo alieno, ma centinaia, che si scontrano con un gruppo di marines. Una potente critica alla politica estera militarista degli Stati Uniti.

Alien³, diretto da David Fincher al suo esordio cinematografico dopo esperienze nell’ambito degli effetti speciali e dei videoclip, arriva nel 1992.

Considerato il capitolo meno riuscito della saga a causa di problemi produttivi e di sceneggiatura che ne hanno rallentato la produzione e causato modifiche improvvise, il film è comunque ambientato in un’affascinante colonia penale.

Il 1997 segna una svolta nella saga di Alien con l’arrivo del regista francese Jean-Pierre Jeunet.

Reduce da brillanti commedie nere e opere surreali, Jeunet, che quattro anni dopo avrebbe rovinato le donne di tutto il globo con Il favoloso mondo di Amélie (pellicola sopravvalutata e dannosa per l’immaginario femminile, così come Drive di Refn – che almeno resta un ottimo film – lo è stato per quello maschile), dirige Alien – La clonazione basandosi sulla sceneggiatura di Joss Whedon, futuro regista di grandi successi Marvel.

La sceneggiatura nasce da una domanda atavica:

“Cosa succede se mi scopo un alieno? Posso farci dei figli o far nascere degli ibridi?”.

Invece, la regia, che ricorda lo stile dei Looney Tunes con l’uso di grandangoli e inquadrature inusuali, contribuisce a rendere il film un oggetto misterioso, divisivo, ma che io personalmente apprezzo per la sua originalità.

Dopo la parentesi Jeunet, Ridley Scott torna alla saga con Prometheus e Alien: Covenant, due prequel che esplorano nuove tematiche. Prometheus indaga la creazione dell'umanità, con riferimenti all’evoluzionismo e all’Antico Testamento. Alien: Covenant, invece, sposta l’attenzione verso le medesime tematiche sull’esplorazione e sul desiderio di colonizzazione.

Fede Alvarez, regista uruguagio, dirige il nuovo capitolo della serie.

Alvarez si è fatto notare da Sam Raimi (celebre regista della saga di Spiderman, La Casa e anche produttore) grazie al cortometraggio di fantascienza Ataque de pánico, un lavoro forse non particolarmente originale, ma che gli è comunque valso la regia del sufficiente remake de La Casa.

A questo è seguito il suo film migliore, Man in the dark, che presenta analogie con il concept del primo Alien e la sua atmosfera claustrofobica, e nel quale l’antagonista incarna in maniera non ironica il detto della cecità derivante dalle troppe seghe, nonché un sequel di Millennium – Uomini che odiano le donne.

Alien: Romulus è ambientato nel 2142, circa vent’anni dopo gli eventi del primo film. Un gruppo di giovani colonizzatori spaziali fa una scoperta inquietante: i detriti della USCSS Nostromo, la nave protagonista del primo Alien.

Esplorando i resti della Nostromo, i colonizzatori si trovano faccia a faccia con lo Xenomorfo. La trama presenta quindi somiglianze con quella del primo film, che viene esplicitamente richiamato e integrato nella narrazione.

Rimane oscuro il riferimento a “Romolo” nel titolo, così come le citazioni alla storia della Roma antica, che non vengono approfondite e sembrano più che altro espedienti di sceneggiatura o spunti non pienamente sviluppati, da riprendere forse in futuri sequel.

La regia di Alvarez è solida e professionale: il film, pur non sfruttando appieno le premesse iniziali, si rivela con il passare dei minuti un teen horror godibile. Tra gli spunti non sviluppati, l’ambientazione in una colonia mineraria che lascia intravedere alcune dinamiche sociali.

Si sarebbero potute approfondire queste dinamiche, magari immaginando una rivolta degli operai: gli xenomorfi sarebbero potuti sbarcare sul pianeta, vivere nel sottosuolo e allearsi con i ribelli per creare degli ibridi. Una soluzione narrativa, diciamo così, xenomarxista.

È curioso: quando penso agli extraterrestri, mi vengono in mente idee comuniste che di solito non mi sfiorano. Forse, il comunismo troverebbe la sua legittimazione solo nell’esistenza di forme di vita aliene.

Guillaume Faye, esponente della nuova destra, nel libro Les Extraterrestres de A à Z…, osserva come il mito dell'alieno risponda alle ansie dell’uomo occidentale, che combatte il materialismo cercando nell’ignoto una via di fuga. Ma cosa accadrebbe se l’ignoto diventasse noto?

L’unico elemento capace di confutare la visione marxista del materialismo, che ha trascurato l’importanza della religione e dell’ identità etnica, potrebbe essere la nascita di ibridi tra umani e alieni.

Da bambino giocavo spesso a Red Faction: Guerrilla, un videogioco in cui si deve impersonare un minatore/terrorista marziano che fa saltare in aria le installazioni terrestri su Marte. Avrei preferito qualcosa di simile.

A differenza di altri alieni cinematografici, spesso semplici metafore del diverso, lo Xenomorfo parassita l’uomo e si fonde con lui come si vede soprattutto in Alien – La clonazione. La morte umana diventa condizione necessaria per la sua nascita.

L’ufologia radicale, il Posadismo e Alessandro Catto condividono questa prospettiva.

L’ufologia radicale, a differenza di quella tradizionale – accusata di eccessiva passività e di non sfidare le strutture di potere – va oltre la semplice ricerca di prove scientifiche dell’esistenza di vita extraterrestre.

Essa collega gli avvistamenti UFO e i contatti con extraterrestri a questioni sociali, economiche e politiche. Per gli ufologi radicali, gli UFO sono spesso un simbolo di oppressione e controllo da parte delle élite. Essi sostengono che i governi nascondano informazioni cruciali sull’esistenza di vita extraterrestre, come quelle sui rettiliani o sugli Illuminati.

L’incontro con una civiltà aliena, secondo questa prospettiva, potrebbe sconvolgere l’ordine mondiale, innescando una rivoluzione sociale e politica.

Il Posadismo, invece, è una corrente ideologica basata sulle teorie di Juan Posadas, un rivoluzionario argentino trotskista del XX secolo.

Posadas, membro della Quarta Internazionale, sviluppò una visione originale del comunismo, caratterizzata da un forte entusiasmo per la tecnologia e da una fede quasi messianica nella rivoluzione mondiale. A differenza di altri marxisti, preoccupati da una possibile guerra nucleare, Posadas la considerava l’unico strumento per distruggere il capitalismo e creare una società comunista globale.

Egli credeva che la tecnologia, in particolare l’energia nucleare e l’automazione, avrebbe liberato l'umanità dal lavoro alienante, permettendo una società dell'abbondanza.

Posadas considerava lo spazio la nuova frontiera della lotta di classe. Per lui, la conquista dello spazio rappresentava il passo successivo dell’umanità verso la liberazione, un processo in cui gli alieni avrebbero avuto un ruolo cruciale.

Il rivoluzionario argentino interpretava gli UFO e gli extraterrestri non solo come entità biologiche, ma anche come simboli di un futuro comunista più evoluto, libero da sfruttamento e disuguaglianze.

Questi alieni, nella sua visione, incarnavano una civiltà superiore che, avendo già raggiunto il comunismo, trasmetteva attraverso le sue visite un messaggio di speranza e rivoluzione alla Terra.

L’ufologia, diceva il doge Alessandro Catto, è forse l’ultima forma di elitarismo autenticamente socialista: una resistenza contro il razionalismo positivista e le ideologie reazionarie del nostro tempo.

È una passione, un interesse per ciò che non si conosce, per il mistero; è un modo per ripensare il mondo e il nostro posto in esso.

Mentre altri si compiacciono di un elitarismo fatto di arroganza, di disprezzo per i più deboli, il vero anarchico si rifugia in quest’unico elitarismo progressista. Prende la sua astronave, abbandona le rassicurazioni del potere e si perde nell’oscurità dello spazio per incontrare, finalmente, l’Altro.

Non voglio vedere Alien: Romulus, preferisco Alien: Spartacus!

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