Fuori i Comunisti dall'Università

Fuori i Comunisti dall'Università
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Il 27 ottobre il Fuan organizza un incontro sul Nagorno-Karabakh, Studenti Indipendenti lo contesta e la polizia interviene a difesa dell’organizzazione di destra. In questi giorni, il governo Meloni ha proposto la riforma sul premierato, che comprende, tra le altre cose, l’abolizione dei senatori a vita. Che cos’hanno in comune queste due notizie? Il comunismo, malattia infantile che da anni attanaglia questo Paese.

Mercoledì 27 ottobre il Fuan (Fronte universitario di azione nazionale, l’organizzazione studentesca di destra) ha organizzato nell’aula E4 del Campus Einaudi di Torino una conferenza sulla crisi umanitaria nella regione armena dell’Artsakh a cui ha partecipato anche l’assessore regionale Maurizio Marrone (FdI). All’incontro avranno partecipato quattro gatti (gli universitari di destra sono notoriamente pochi), ma in compenso ad aspettarli fuori berciando c’era qualche centinaio di studenti dei collettivi. La conferenza non s’ha da fare, l’università deve smetterla di concedere i suoi spazi ai neofascisti del Fuan. 

E poco importa se, per una volta, l’evento non aveva nulla a che fare con il fascismo, ma piuttosto con una questione di bruciante attualità. Poco importa il diritto di parola di un movimento che, comunque lo si consideri, rappresenta la storia della destra giovanile italiana ed è legato al partito attualmente al governo in Italia. I fascisti sono fascisti e in quanto tali non possono organizzare eventi col patrocinio dell’università. E così ecco che si rende necessario l’intervento della Digos per garantire l’incolumità degli studenti del Fuan.

I collettivi invece possono okkupare aule e insozzarle a loro piacimento. Possono bivaccare, fumare nelle aule, mettere adesivi, scritte, organizzare corsi di boxe popolare (sic) e cineforum comunisti a cui sventuratamente m’è capitato di assistere.

Tutto questo senza che l’università dica nulla. Avevano appena finito di costruire la palazzina Aldo Moro, vicino a Palazzo Nuovo, e già i komunisti avevano okkupato l’aula “Lorenzo Parelli” (sic: come speculare sulle tragedie)

In questi giorni, l’università – che già cade a pezzi di suo in quell’orrenda sede distopica che è Palazzo Nuovo – è invasa da striscioni di ogni genere, che ripetono sempre gli stessi slogan: fuori polizia e fascisti dall’università, Geuna dimettiti! & affini. Colpisce, in particolare, uno striscione in cui si fa riferimento a non ben definiti fascismi, al plurale.

Forse una scelta legata alla mancanza di spazio (una o non ci stava) o forse una precisa scelta ideologica. Già, perché di fascismo mica ce n’è uno solo! Fascista è la Meloni. Fascista è Mario Draghi, il dittatore estero preferito di Zerocalcare. Fascista è Zerocalcare. Fascista sei tu, che leggi l’articolo di uno che è palesemente un fascista.

Fascista è chiunque non la pensi come loro, come nella migliore tradizione staliniana. I nemici sono socialfascisti, sempre.

Non è la prima volta che succede. Nel 2020 il Fuan organizzò un volantinaggio per contestare un convegno organizzato dall’università con la partecipazione di Moni Ovadia. Studenti Indipendenti – o meglio, come li chiamiamo io e un mio amico indie-pezzenticontestò il volantinaggio e il risultato fu che 3 anarcoidi furono arrestati e 15 denunciati.

Ora, io tendo a pensare che fascista sia chi vuole impedire a un altro di parlare. Fascista è la Meloni che si lamenta contro le vignette satiriche sulla sorella & Lollobrigida. Fascista è l’editto bulgaro. Fasciste sono le femministe che hanno contestato Eugenia Roccella al Salone del Libro. Fascisti erano quelli che Costanzo Preve avrebbe definito laicisti, che volevano impedire a Benedetto XVI di inaugurare l’anno accademico alla Sapienza.

E fascisti sono questi studentelli anarcoidi che vorrebbero impedire una conferenza su un importante tema di attualità, peraltro con un effetto comico involontario che li ha portati a essere dalla parte di chi opprime il Nagorno-Karabakh, cioè il dittatore azero Əliyev, grande amico dell’Occidente e dell’Italia soprattutto perché ci dà il gas.

Sarà forse per via della schewa nel cognome…

Non che il fascismo sia necessariamente una cosa negativa. Non intendo dire che il fascismo ha fatto anche cose buone (come dice Barbero: ovvio che ne ha fatte, non esiste nessuno che non abbia fatto almeno una cosa buona in tutta la sua vita), ma che a volte un po’ di censura non farebbe male.

Per esempio, censurerei tutti quelli che dicono che i vaccini causano l’autismo, che l’omosessualità è una malattia, che l’uomo non è mai andato sulla Luna e che l’Olocausto non è stato poi questa gran cosa. Però io lo dico apertamente. Non sono democratico, punto e basta. Vorrei che anche queste persone gettassero la maschera.

Mark Piscer mi ricorda che c’è stato un tempo in cui i militanti di estrema sinistra – tra cui Giuliano Ferrara, Paolo Liguori, Ernesto Galli della Loggia e Oreste Scalzonelottavano al fianco del Fuan, di Avanguardia Nazionale di Delle Chiaie e di Primula Goliardica.

Che Lenin fu l’unico a riconoscere la Reggenza italiana del Carnaro, convinto che in Italia solo gli uomini come D’Annunzio potessero fare la rivoluzione. Che, infine, Togliatti stesso fece proprio il programma di San Sepolcro in un appello ai partigiani. Ma ai comunisti di oggi non piace la complessità e a me non piacciono le ideologie infantili sessantottine.

Nella battaglia di Valle Giulia, come Pasolini, avrei simpatizzato per i poliziotti, veri proletari.

Colpisce che questa volta anche il Fronte della gioventù comunista sia caduto nella trappola, arrivando addirittura a chiedere le dimissioni del rettore Geuna (ma cosa c’entra il povero Geuna?). Proprio loro che erano tra i pochi, oltre al macchiettistico e insignificante Fuan, a non aver ceduto alla dittatura politicamente corretta della schewa. Abbandonare Rizzo li ha portati a questi orrori.

Non li voterò più.

Sì, avete capito bene. Anch’io li ho votati. Ho votato per loro proprio per quel motivo: perché, non presentando schewa e altra merda ideologica neofemminista, il loro era uno dei pochi programmi leggibili.

Del resto, si sa, l’università è quel magico luogo in cui alle elezioni l’affluenza non supera mai il 9%, neanche quando sono online, e a rappresentare gli studenti sono soggetti che nella politica reale sarebbero condannati all’extraparlamentarismo eterno, o magari direttamente a marcire in galera. Gente che vorrebbe uno Stato debole e Cospito libero e disegna simulazioni di 41 bis davanti all’ingresso dell’università.

Invece per la ragion di Stato è bene che Cospito se ne stia in galera e se qualcuno lo vuole accompagnare è libero di farlo.

Questo l’avrei potuto scrivere qualche mese fa. Ma con l’avvento alla segreteria del Partito (Demo)Cratico di Elly Schlein cambia tutto. Quella sinistra che prima era confinata all’Askatasuna e lottava a suon di schewa e rivoluzione gender ora ha il 20% e ambizioni governative.

L’egemonia non è più solo all’università.

Non sono un sostenitore di teorie del complotto. Non lotto contro i mulini a vento. Non credo al marxismo culturale. Ormai i veri comunisti sono un brutto ricordo patriarcale. Nessuno vuole più una rivoluzione. Semmai, stiamo assistendo a un trionfo di quello che chiamo progressismo culturale, che del marxismo ha tratto tutti gli aspetti peggiori: l’infantilismo, l’eterno dualismo borghesia-proletariato e l’iper-razionalismo socialista, che secondo Yoram Hazony consiste nella presunzione di possedere poteri razionali così potenti da decidere correttamente come l’intero sistema economico debba essere strutturato per garantire a ognuno il benessere (Le virtù del nazionalismo, Guerini, Milano 2019, p. 191).

È facile cadere nella trappola. A 18 anni ero anch’io comunista. Anzi, ero il più comunista dei comunisti. Ero marxista-leninista, stalinista. Ma già allora coltivavo idee sofocratiche. Ai miei occhi, il comunismo era antidemocratico, e quindi sofocratico (non capivo allora la follia di affidare il potere al popolo, alla hegeliana massa informe che non sa ciò che vuole)

Credevo nel comunismo meritocratico del lavoro a cottimo, nello stacanovismo rivoluzionario, nell’appianare le differenze per poi ristabilirle, ma su una base più equa, meritocratica appunto. Chiamiamolo comunismo della diseguaglianza.

Oggi ho capito che tutto ciò non è possibile.

Come scrisse Terzani,

 «C’è una natura umana che è individualista, che è egoista e che non accetta questa limitazione dei propri diritti, della propria libertà di espressione. Bisogna riconoscerlo. Perché tu puoi dare a tutti la stessa ferrea ciotola di riso, puoi dare a tutti lo stesso vestito, e tanti ci credono e tanti partecipano al tuo progetto. Ma c’è sempre una parte che vuole due vestiti, due ciotole di riso e la libertà di fare ciò che vuole. Questo però il comunismo lo nega, per cui crea una contraddizione che diventa omicida. Così si arriva alla violenza, perché quelli che credono nel sistema reprimono coloro che lo minano. Per questo ci sono stati i massacri di Pol Pot, il gulag dei sovietici e i campi di lavoro dei cinesi».

Ebbene, io appartengo a questo secondo gruppo. Sono individualista, egoista, persino narcisista. All’università ho scoperto di essere misogino, omofobo e transfobico. Sono stato accusato di mansplaining, di misgendering e di avere una visione essenzialista del mondo. Ho capito che l’idea di Freud della bisessualità originaria di tutti gli esseri umani è una boiata pazzesca e che è meglio suddividere l’umanità in una quantità infinita di categorie non richieste LGBTQRSTUVWXYZ (il famoso razionalismo socialista)

Ho imparato che la nazione è un costrutto sociale, che il genere è un costrutto sociale, che la mia minchia è un costrutto sociale. Che l’aborto non è solo un diritto, ma anche una cosa fighissima, che l’eutanasia è un diritto sacrosanto e che gli uomini devono avere paura delle donne.

Insomma, sono venuto a conoscenza di tutti i dogmi del progressismo culturale.

Ho smesso di credere a questo egualitarismo becero che vorrebbe nuove patrimoniali, salario minimo e altre condanne per il mercato immobiliare.

Gli uomini non sono uguali.

Piuttosto, s’illudono d’esserlo. Forse è stata la campagna di Potere al Popolo Voglio i miei 161000 euro (ma anche blackjack e squillo di lusso!). Forse è allora che ho realizzato che ero parte della classe che volevo abbattere, che i miei 161000 euro me li sarei tenuti ben stretti proteggendoli dall’inflazione, dalle patrimoniali e dai prelievi forzosi sui conti correnti di sottili dottori della politica italiana.

Non ho cambiato idea. Ho solo cambiato la parte della barricata. In fondo, come cantava Battiato, «le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso».

Io sono l’1%. Quell’1% più ricco che detiene il 40, il 50, il 60 o anche il 70% del patrimonio finanziario nazionale a seconda delle statistiche. Ma non crediate che non abbia anch’io i miei problemi. Nemo curat quid annona mordet! Anch’io ce l’ho con gli Stati Uniti. Anch’io ce l’ho con loro. Loro, il padronato, le multinazionali.

E mentre l’inflazione divora i nostri patrimoni, il governo ha trovato una soluzione creativa. Il premierato. E l’abolizione dei senatori a vita. Il governo dichiara la guerra al privilegio. Prima il taglio dei parlamentari, ora questa mossa populista.

Sono tempi bui per gli elitisti, per gli Aristarco, i Piero Fassino e gli İsmail. Perché, in fondo, i comunisti, come i fascisti, si trovano in tutti gli schieramenti, anche al governo.

E quindi io voglio gridare:

FUORI I COMUNISTI DALL’UNIVERSITÀ.

Ma anche dal governo, dalla politica, dai tribunali. Ho fatto mio il programma dell’onorevole Giuseppe Tritoni:

«Ordine, obbedienza, disciplina! Basta con l’antistorica uguaglianza! Ma che vuol dire? Ma perché un ingegnere dev’essere uguale a un muratore? Madonna di un Dio! Soltanto i coglioni sono uguali l’uno all’altro»

Che poi altro non è che una parafrasi molto libera del pensiero di Armando Plebe, il filosofo marxista passato al Msi.

P.S.: Se non cogliete questo riferimento, vi sia tolto immediatamente il diritto di voto.

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