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Armageddon Automatico

Dio è morto e ora lo trovi in versione freemium

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Lettura boomer
Le intelligenze automatiche non ci distruggeranno. Ci venderanno l’apocalisse in 4K con consegna Prime.

Le intelligenze automatiche sono sistemi capaci di prendere decisioni, apprendere e agire senza intervento umano continuo, grazie ad algoritmi avanzati e a una grande mole di dati. Questo tipo di intelligenza si distingue per la sua capacità di funzionare in modo indipendente, adattarsi a nuove situazioni e, in molti casi, ottimizzare le proprie prestazioni nel tempo.

Circa quarant’anni fa, qualche nerd programmatore decise di creare macchine in grado di raccogliere dati esterni e analizzarli per prevedere il futuro. Naturalmente, questi geni non si fecero sfuggire il potenziale del mercato azionario e iniziarono a vendere i loro dati agli investitori. Ma, come spesso accade, alla lunga i nerd fecero ciò che sanno fare meglio: automatizzarono tutto. Si ritrovarono così con macchine che emettevano report in modo autonomo e altre macchine che leggevano quei report e operavano a loro volta, creando un ciclo di feedback interamente autonomo. Da quel momento, il mercato non è più realmente sotto controllo umano. E se qualcuno osasse spezzare anche solo uno di questi delicati circuiti, potremmo ritrovarci nella crisi del ’29 – ma stavolta con un tutorial su YouTube per imparare a sopravvivere.

Con l’arrivo di Internet, i marketer si sono lanciati nel content marketing, una strategia in cui prodotto e narrazione coincidono, tipo quando compri uno smartphone e ti vendono un’identità da minimalista illuminato. In pochi si rendono davvero conto di quanto questi feedback loop autonomi abbiano ormai infiltrato ogni angolo del nostro sistema economico, che si è evoluto in un mercato dei contenuti. Oggi si vendono narrative, non prodotti. Questo significa che algoritmi matematici astratti gestiscono parte della nostra produzione culturale, decidendone la diffusione in base a un’analisi fredda e automatica dei gusti popolari – come se Michelangelo avesse scolpito il David per promuovere abbonamenti in palestra 24/7.

Negli anni ’80 si faceva già qualcosa di simile, ma oggi la questione è più seria: i dati dei consumatori vengono forniti direttamente alle intelligenze automatiche, che analizzano quali storie vendono e quali no. Siamo ufficialmente entrati nell’epoca dell’iper-normalizzazione, termine che descrive come una realtà distorta venga presentata come normale fino al punto che nessuno si pone più domande. Originariamente associata alla propaganda sovietica, dove il regime costruiva una versione idealizzata della realtà, oggi l’iper-normalizzazione è diventata parte integrante del tardo-capitalismo. Non siamo più bombardati da inni al Partito, ma da pubblicità che ci promettono che una semplice app di fitness ci renderà atleti olimpici, anche se in realtà serve solo a vendere l’ultimo smartwatch.

Con l’indebolimento della religione, è venuta meno una narrativa culturale dominante. I fanatici di ieri, quelli che avrebbero fondato una setta, oggi dominano forum e social, idolatrando le nuove divinità del brand. Una fanbase, alla fine, non è così diversa da un culto: entrambi sono comunità che ruotano attorno a una narrativa comune e a una serie di valori condivisi. Pensiamo al fanatismo dei McLovers di McDonald’s per la salsa Szechuan: persone disposte a vendere l’anima, la macchina, o entrambe per una bustina di condimento. O al Prime Day di Amazon, ormai percepito come un evento festivo, quasi sacro, in cui i consumatori si sentono obbligati a partecipare. A noi sembra normale, ma solo perché non riusciamo più a immaginare questi stessi fan nelle vesti di monaci in meditazione sul Monte Athos.

Prima o poi però, qualcuno scoprirà che vendere illusioni a un pubblico suggestionabile è come tenere un accendino in un deposito di benzina. L’assuefazione continua a questi miraggi genera dissonanze psicologiche, tra persone che, consapevolmente o no, vivono in bolle costruite a colpi di storytelling commerciale. È da qui che nasce la polarizzazione del dibattito politico. Gli algoritmi, ciechi all’etica, costruiti per vendere, non vedono gli effetti collaterali delle loro azioni. L’apocalisse robotica non sarà come in Terminator. Sarà più simile a Shining, con tutti noi rinchiusi in un labirinto neuro-mediatico, senza via d’uscita.

Non c’è nulla di male in un po’ di fanatismo, se è costruttivo. Il problema è che queste narrative non mirano al bene collettivo, né alla crescita personale. Sono solo strumenti per aprire nuovi segmenti di mercato. E così siamo finiti in un mondo in cui formule matematiche astratte governano un mercato che vende storie, e dove i fanatici religiosi del passato sono stati sostituiti da tribù digitali legate a prodotti-identità. È così che si arriva a vedere nazisti e comunisti affrontarsi in una nazione iper-consumista come l’America, convinti che l’apocalisse sia imminente, ognuno per motivi propri.

E mentre il caos cresce, la polarizzazione accelera, e si apre uno scenario inevitabile: il sistema non rallenterà. Non può. È costruito per spingere il capitalismo oltre il punto di non ritorno, verso una singolarità socio-culturale, dove ogni individuo è un influencer, ogni opinione è una merce, e ogni forma di resistenza viene assorbita, impacchettata e rivenduta come intrattenimento.

Il collasso non è un errore. È una feature.

Questo capitalismo algocratico non terminerà con una morte lenta, ma con una rapida discesa nel caos. Non per via di un complotto. Ma per logica interna di un sistema entropico e autofago.

Ma il caos non è un abisso. È una scala.
Quando l’impalcatura crolla, non resta l’illusione della comunità globale. Non resta l’eterno refresh di notifiche. Resta l’essenziale: identità vere, radicate, non piegate alle mode o ai capricci di macchine arroganti. Un mondo in cui il consumatore torna cittadino, e le Brand Tribes cedono il passo a comunità autentiche, fondate su valori eterni.

Non è più tempo di riparare il sistema. È tempo di strapparlo, radice e tutto, lasciarlo bruciare, e costruire qualcosa di più grande sulle sue ceneri.

Dopotutto, il progresso non si fa trattenendo il respiro.
Si fa saltando nel fuoco.

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Prima di procedere con la stesura di questo articolo, mi preme fare una cosa. Devo dirlo. Devo fare coming out. Io, ***** *****, figlio della prospera e generosa terra della Penisola Italica, sono un fascio. 
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