T2

O “Il girone dantesco del Berlusca”

T2
Lettura boomer
T2 Malpensa: L'Anticamera Proletaria di un Sogno Frantumato.

Per comprendere Malpensa T2, per gli amici T2, sfortunatamente bisogna citare un francese.

Marc Augé nel ’92 coniò il termine nonluogo,

con cui definisce degli spazi fisici non identitari, non relazionali né storici, il cui scopo è soddisfare il desiderio frenetico di consumo individuale convenientemente accelerato. Sotto questo termine ombrello troviamo il Centro di Arese, il campo profughi di Jabalya e T2.

Nonostante si associ a Milano, si trova in realtà nella provincia di Varese –  ma è chiamato “Milano Malpensa” dato che ormai Milano fagocita tutto ciò che la circonda come un buco nero – ed è il primo aeroporto memetico grazie alla dedica a colui che ha portato Sailor Moon in Italia. Se contattassimo tramite tavola Ouija tatuata sulla schiena di una escort rumena il Cavaliere per parlargli di T2, ne sarebbe felice? No.

T2 è l’esempio più basico per parlare dell’universo aeroporti, un mondo ormai decaduto dall’immaginario collettivo del lusso in mani proletarie per volere del capitalismo. Essendo monopolio assoluto di EasyJet il buon B apprezzerebbe l’inciucio e l’intraprendenza imprenditoriale. Tuttavia, è frequentato solo da viaggiatori lowcost: studenti, gente con lavori poco retribuiti e quelli che vanno a Medjugorje. I negozi stessi di T2 sembrano dire: “Amo sei povero”. Per quanto ci sia uno Starbucks, simbolo di ricchezza nel campo delle caffetterie insulto all’espresso del baretto sotto casa, il livello di negozi e ristoranti in T2 è nettamente inferiore a quelli di T1, più grosso più bello e più chad. Più in linea con B.

Se per lo spirito di B T1 è il paradiso, T2 sarebbe l’inferno. Si ammazzerebbe pur di non dover infestare quel buco di culo proletario. Ed è proprio lo spirito di B a guidarci in un tour in questo luogo mistico.

Lo faProviamo ad immaginare che però lo faccia come punizione per quella promessa di natura goliardico-edonistica che fece ad un gruppo di giovani anni orsono ma che non mantenne e che a noi tocchi accompagnarlo, moderni Caronti senza Speedy Boarding.

Tutto inizia prima di entrare: l’interezza dei viaggiatori viene immediatamente lobotomizzata all’arrivo a causa del campo di forza creato dalla mente alveare del turista rincoglionito. Cantando l’inno di Forza Italia col nostro spettrale compagno resistiamo al danno psichico. Entrando ci troviamo davanti ai controlli comodamente situati a sinistra, mentre l’imbarco per i bagagli da stiva (simbolo di ricchezza nel campo dell’aviazione pubblica) si trova a destra, esattamente come da sacre direttive di Gaber.

B si dispera davanti alla fauna innanzi a noi. Una massa di cretini che protestano perché vogliono portarsi tre bagagli con un biglietto che consente solo uno zaino, il cui QI va sotto lo zero nel momento in cui arrivano al nastro.

“In che senso non è possibile portare in cabina il bagnoschiuma da 5l e il coltello a serramanico di nonno? >.<”

Dobbiamo passare i controlli in fretta, abbiamo perso troppo tempo nel parcheggio a battere la palestra pokémon e B sta diventando irrequieto a furia di sentire accenti partenopei high on copium lamentarsi che le dimensioni del bagaglio a mano sono state magicamente cambiate dopo l’acquisto del biglietto, dialogo non skippabile a cui gli operatori EasyJet sono sottoposti quotidianamente.

Come attraversare questa marea di poracci proletari con stile, come avrebbe fatto B?

Bisogna comprare il fast-track.

Esso è l’epiteto del privilegio aeroportuale al pari della lounge privata. Forse è pure meglio, perché incarna appieno il vero significato che il capitalismo ha dato a tutto ciò che può essere definito un “lusso”: una performance per far rosicare, fine a sé stessa senza alcun beneficio a lungo termine, quasi al pari di una Birkin con Labubu. Con 10 euro IVA compresa l’aeroporto permette di passare davanti alla massa di famiglie con bambini urlanti, vecchi, comitive e terroni, fornendo un ingresso dovutamente separato dove non esiste fila, senza dover tirare i liquidi fuori dal bagaglio perché hanno lo scanner figo e, soprattutto, fornendo la servitù.

Servitù che consiste in un addetto il cui unico scopo è accompagnarci al nastro trasportatore, farci passare davanti mentre gli altri viaggiatori urlano come anime dannate abbandonate sull’altra riva in quanto senza obolo, metterci la valigia sul nastro ed accertarsi che la vaschetta con tutti i nostri beni vada sul nastro prima delle altre. L’equivalente di un portaborse.

Comodissimo, facciamo i controlli in meno di cinque minuti indipendentemente da quanta altra gente c’è, proprio come fece anni orsono (precisamente nel 2009) un presidente del consiglio al rientro dalla Sardegna, facendo ritardare di ore un certo volo dell’allora Alitalia.

Passiamo i controlli, facendoci un segone a due mani sotto al metal detector godendo delle urla di un poveraccio che è stato bloccato dal nostro servo portaborse, che si lamenta che così perde l’aereo.

“Godo povero di merda”, dice B,

“godo e mi scopo pure tua moglie facendole un favore perché uno come te col cazzo che l’ha mai fatta godere davvero. Tua moglie con me avrebbe già passato i controlli, senza dover tirar fuori i cosmetici dallo zaino”.

Gli facciamo notare che essendo uno spettro nessuno tranne noi lo può sentire. Abbozza.

Dopo c’è il duty free che va attraversato a testa bassa velocemente, sia mai che perdiamo l’aereo. Non ricordiamo per dove, ma non importa. Conta il viaggio, non la meta. 

Nessuno compra davvero ad un duty free. Non è il prodotto in sé ad essere il simbolo di lusso, bensì il cartellino del prezzo. Tuttavia, in T2 sono tutti troppo poveri per potersi davvero permettere roba oltre al panino prosciutto e mozzarella che sta a €8.50. Il proletario si porta la roba da casa per il volo, lo sa che il sovrapprezzo è dovuto solamente al volerci lucrare sopra ed ai fantomatici controlli antiterrorismo extra sulla merce. Perché si sa, Al-Qaeda ha chiaramente bisogno di metter del plastico nei perizomi in vendita da Intimissimi per abbattere il diavolo occidentale. In un terminal dove persino il bagaglio in stiva non è quasi più un lusso con le dovute accortezze, chi cazzo lo vuole il lusso in forma di vini o cosmetici?

Andiamo al Burger King al piano di sopra.

Dopo che B ci ruba due patatine ricoprendole di ectoplasma tocca cercare il gate.

Gli E sono in culo al mondo al piano terra, senza negozi o bar e ci sta solo un bagno, perché da lì partono anche i voli per l’Inghilterra e da dopo la Brexit nessuno ci vuole più avere a che fare, basti vedere i loro risultati al televoto dell’Eurovision ogni anno. Passandoci vicino sentiamo un silenzio di tomba seguito da aria gelida che sale la scalinata di cui non si vede fine con il linoleum che riflette la fredda luce led. Forse è quello il vero inferno, dover attendere in un nonluogo ancora più alienante un volo che non verrà ricordato se non per il doversi sedere vicino ad un servo della corona. Decidiamo di aprire un mutuo e prenderci un caffè.

B dice che l’unica cosa che gli piace di un Venti Latte è il prezzo ridicolmente alto che il popolino è disposto a pagare. Quasi ci spacchiamo una mano cercando di tirargli uno schiaffo quando ammicca ad una che è palesemente minorenne, dimenticandoci per un attimo che essendo uno spettro è intangibile. Colpiamo invece il totem di Revolut, dolore. Ennesimo caso di violenza economica in quel di Milano. Diciamo a B che Linate è meglio, hanno lo spazio per il gaming lì. Replica che siamo comunisti di merda, incapaci di chiavare. Abbozziamo.

Nel T2 il tempo non esiste. C’è solo l’orario di partenza, ma solo quando gli dèi dell’aviazione ci proteggono dai ritardi. Arriviamo al gate, stanno imbarcando. Ci giriamo per salutare B, che è stato nonostante tutto di compagnia mentre aspettavamo.

Non c’è nessuno. B non c’è mai stato. Era un’allucinazione dovuta alla levataccia per prendere il volo che con solo il bagaglio a mano piccolo ci è costato 34.99 solamente l’andata. Anche noi siamo dei poveri comunisti. Imbarchiamo, ci sediamo vicino ad una vecchia coppia di cristiani che fanno le parole crociate.

Abbozziamo.

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