Poco più di un anno è passato da quella tragica data. E sebbene i percorsi storici necessitino di tempi molto più lunghi per poter essere compresi a pieno, senza remore possiamo affermare che:
Silvio è stato un Padre della Patria.
Sì, perché la Patria non è mai la stessa: le culture cambiano, le usanze, le abitudini… tutto cambia, è la tragedia ma anche la nobiltà dell’Esistenza. Ovviamente resta un qualcosa di sepolto a livello della (in)coscienza collettiva: le radici autentiche e telluriche di un popolo non possono essere mai essere accantonate, checché ne dicano i progressisti. E in un certo senso Silvio ha saputo comprendere le radici sepolte di un popolo così complessamente semplice com’è quello italiano.
Ma andiamo con ordine
Partiamo dagli anni 70: l’Italia è dilaniata da una guerra civile latente e niente lascia presagire qualcosa di buono. Personalmente condivido l’interpretazione Arbasiniana di questo generale scombussolamento dei patti sociali: un paese giovane (quale eravamo) e impossibilitato a sfogare, al di fuori dei propri confini, la violenza che deriva da questa condizione (come ben sapete eravamo già nella sfera di potere degli USA, in piena Guerra Fredda per giunta), non può fare altro che dilaniarsi dall’interno. Negli anni 70 fu la lotta politica a motivare la spietatezza, ma come ci insegna Carl Schmitt – o anche le testimonianze di Giusva Fioravanti, ad esempio
– la motivazione è solo posteriore a una sorta di “pulsione” naturale che la precede. Questa “teoria” arbasiniana la vorrei associare ad una mia personale convinzione: gli Italiani riscoprono la violenza in cicli di 40-50 anni, per una ragione o per l’altra.
E l’efferatezza, per la quale amiamo stupirci continuamente, non è mai cosa nuova, così come non lo è la perfetta convivenza tra questa e la nobiltà delle nostre opere, le nostre abilità artistiche, le nostre migliori qualità. È anche il motivo per cui penso che il Paese si stia spegnendo: da una convivenza (non necessariamente come “classi sociali” ma come attitudini spirituali) tra spirito “nobile”
e spirito “proletario”
, siamo passati ad un banale paesotto di piccolo-borghesi.
Pensate al Rinascimento: le signorie campavano grazie al sostegno delle classi più basse, e realizzavano comunque grandi opere, ingaggiavano i migliori artisti, poeti, letterati. Questo tratto non entrava assolutamente in conflitto con l’efferatezza delle lotte di corte, con le guerre civili, con gli atti di puro Machiavellismo. Una domenica i Pazzi banchettavano con i parenti acquisiti, quella seguente accoltellavano un ragazzo di 24 anni, vendicato poi dal fratello più grande con l’esposizione al pubblico (per giorni) del cadavere impiccato di uno dei responsabili. Altri tempi, direte… NO!
La raffinatezza della perversione cambia vesti, ma non si estingue.
Negli anni 70 siamo andati abbastanza vicini alla completa deflagrazione del paese, allo stesso tempo ricordiamo il periodo come uno tra i più prolifici culturalmente: film, libri, romanzi, tutta roba che citiamo e che nutre il nostro larping odierno. Sicuramente sono stati gli anni del completo disfacimento di qualsiasi tessuto sociale: qualcosa per cui adesso paghiamo solo le estreme conseguenze, e sicuramente più di altri in occidente.
Ma anche anni di frizzantina modernità, mobilità sociale, innovazione…
Ma allora perché Silvio è così importante? Volentieri rispondo: il cosiddetto edonismo, l’importazione dello yuppismo, tutto ciò per cui viene anche – e in alcuni casi direi giustamente
– criticato di Silvio, ha salvato il Paese. E se non si tratta proprio di salvezza sicuramente ne ha ritardato la caduta. Se avessimo ancora con noi la Libia e il Colonnello (senza che (((francesi, inglesi e le loro quinte colonne in patria desy nistra))) si fossero immischiate) probabilmente parleremmo, ora, di un’altra Italia.
Addormentare gli istinti invasati, purificarli dalla necessità ancestrale di una lotta politica, è stata la chiave. Lo scontro avrebbe portato all’autodistruzione, mentre adesso – e in questo senso perfino la Dipartita del Cavaliere pare Segno del Destino
– ci troviamo in un contesto che la richiama. L’impero centrale da cui dipendiamo soffre, così come soffrono anche i suoi concorrenti. Tutto sembrerebbe richiamare l’Europa, e l’Italia, ad un ruolo più grande. Silvio aveva capito proprio questo, e l’affaire Libico doveva essere il trampolino di lancio per un rientro generale dalle vacanze. Non è andata bene, ma ci rifaremo: liberandoci possibilmente prima del nemico interno, ovviamente sul server di minecraft, signori pubblici agenti di sicurezza in lettura.
Un po’ come Thomas Hobbes e John Locke prospettavano il trasferimento dell’imprescindibile lotta tra esseri umani, dal piano “sociale”
a quello economico (lo Stato alla fine aveva come scopo anche questo), Silvio ha dispensato Panem et circenses e pullmini di signorine, ha distribuito i frutti della modernità a tutti. Se gli italiani hanno deciso, alla luce della modernità, di tranciare con certe radici e di larpare… che almeno si imposti un tipo di larping squisitamente italiano. Finte o meno, considerate o meno, altre e più numerose radici permangono: Silvio Berlusconi, l’archeofuturista lombardo.
Sicuramente ciò avrà pensato il Cavaliere in quei fatidici anni.
Non di meno: avrà rincarato la dose di riflessioni prima della discesa in politica. Non sono tuttavia queste le autentiche ragioni del suo encomiabile percorso politico-sociale.
Nessuno statista, o uomo di potere in generale, può imprimere la sua visione nella coscienza collettiva solo da un punto di vista materiale: Silvio avrebbe potuto concretamente distribuire mazzette a tutti ma non avrebbe ottenuto alcun risultato. La vittoria è stata raggiunta grazie ad un’attenta analisi e ricalibrazione delle menti degli Italiani.
Qui non si parla di essere o diventare ricchi, benestanti, comprare casa al mare e casa in città, la macchina ganza, ecc. ecc. Non siamo per nulla ai livelli del consumismo attuale, che pure frustra e rende incapaci di agire, proprio perché è un continuo dilapidare finanze altrui, casedenonnannare, schemaponzare e quant’altro. Berlusconi ha lavorato sulle coscienze: tu, povero italiano, magari non arriverai mai a godere di questi succosi frutti, ma nel frattempo potrai godere del fatto di trovarti in un contesto in cui quello che vedi è possibile, se non per te per tuo figlio, tuo nipote, chiunque. È l’opportunità di inseguire il desidero a donare felicità, non la sua realizzazione.
Fininvest ha creato la simulazione ideale, la simulazione che non si vede, e che in effetti, pensandoci, non è simulazione. Un estremo tentativo di milanesizzare la cultura italiana senz’altro vitalizzata – fin troppo
– dagli “spiriti”
maligni che pervadono la forma mentis del Mezzogiorno, ma in sciagurata commistione letale col parassitismo menefreghista della Roma post-bellica.
Tentativo fallito.
Ma ziopera noi ci siamo stati. Abbiamo potuto scorgere con la coda dell’occhio un altro destino per il nostro Paese.
Gli anni 80 hanno aperto un salvacondotto per le anime non ancora dilaniate dai 70: le anime popolari, dei paesi, lontane dalle città scosse da sparatorie e stragi. Dove non era arrivato il fascismo, con la burocratizzazione, è arrivato Silvio con Mike Bongiorno, Pamela Prati e il Milan.
Se dovessi descrivere la mia ideologia accennerei sicuramente a questo piccolo ricordo d’infanzia: sul vecchio Mivar (Btw: il fondatore invero UNO DI NOI) la signorina Natalia Estrada si esibisce in un croccantissimo spogliarello a “La sai l’ultima”
con sottofondo di Alizèe.
Nel mentre in salotto le mie due bisnonne e una mia prozia, venute a stare a casa da noi, credono che in televisione ci sia ancora Mike. Tradizione e innovazione si fondono nelle case degli italiani. Il Paese giunge ad una fase estetica ed estatica che tiene insieme tutte le sue anime, sia sociali che storiche.
Silvio è il bravo ragazzo (GOODFELLA letteralmente) di cui tua nonna si fida, di cui tutta l’Italia profonda si fida. Il Cavaliere è riuscito nell’impresa di comprendere gli italiani: non c’è invero niente da comprendere se sei uno di loro fin dal principio.
E Il Cavaliere lo è stato.
Ora sì, un aeroporto dedicato è ancora poco, pochissimo per l’eredità culturale Berlusconiana. Noi attendiamo nell’ombra il momento in cui Milano verrà ribattezzata CAVALIEROPOLI. Ci resta, come immediata soddisfazione, la consapevolezza che le opere importanti, quel è stata la carriera politico-culturale di Silvio Berlusconi, diano i propri frutti a distanza di lustri, decenni, se non proprio di secoli.