BRUCIARE LE POSTE

Perché abbiamo bisogno di UNABOMBER come CEO di Poste Italiane

BRUCIARE LE POSTE
Lettura boomer
Mentre l'Italia si spegne lentamente, qualcuno è pronto ad accendersi... ed esplodere.

“Ci vorrebbe un partito unico, senza destra o sinistra, che faccia gli interessi dell’Italia e delle persone” – Cicciogamer89

ATTENZIONE: il contenuto di questo articolo è potenzialmente offensivo per Poste Italiane, dipendenti pubblici e nostalgici della carta bollata.

Se c’è una cosa che ci lega in modo morboso a un passato putrescente e fallimentare, è proprio questa maledetta istituzione, le Poste. E no, non si possono aggiustare. Le Poste Italiane sono come Giovanni Verga: vecchie, grigie e immobili, ma senza la grandezza letteraria. Ogni volta che qualcuno entra in un ufficio postale, una parte dell’anima si sgretola.

Ma perché dovremmo dedicare un intero articolo alla distruzione delle Poste mentre tu, lettore disilluso, stai ancora digerendo il ritorno dalle ferie e la scoperta che la tua vita quotidiana è un loop di produzione/consumo/inutilità? Perché, miei cari zostili, le Poste non sono solo obsolete. Sono il simbolo di tutto ciò che frena l’accelerazione di questo paese verso una realtà più dinamica.

Perché le Poste vanno bruciate?

Il motivo è semplice: sono l’antitesi della velocità, la negazione dell’efficienza, il monumento alla burocrazia del fallimento. Mentre ti sciroppi ore di coda per spedire una raccomandata o pagare un bollettino, il mondo fuori corre a velocità della luce. Le Poste invece no. Le Poste sono ferme. Bloccate in una bolla spazio-temporale che puzza di carte ammuffite e codici fiscali smarriti. Ogni volta che ti presenti allo sportello, vieni risucchiato negli anni '70, ma senza l’adrenalina dei terroristi rossi e neri a movimentare la scena.

Sono stato io stesso vittima di questa reliquia anacronistica, quando mi sono recato in Posta per un atto burocratico infernale: iscriversi all’albo degli agrotecnici. Un sotterfugio per pagare meno contributi all’INPS, mi direte. Certo, ma perché nel 2024 devo ancora pagare un F23 cartaceo? Perché nel paese che sogna di essere la Silicon Valley mediterranea, dobbiamo affidarci a procedure che sembrano ideate da un burocrate sadico degli anni ’60? Marca da bollo dal tabaccaio, disco orario, modello F23 da compilare in triplice copia. È l’Italia che si inchina al passato, mentre gli altri volano su macchine elettriche.

E così, mi sono trovato a combattere contro un sistema progettato per farti impazzire. L’ufficio postale, popolato da dipendenti apatici e avventori che sembrano comparse di un brutto film neorealista. Vecchi rimbambiti, extracomunitari smarriti e gente normale intrappolata lì per caso. Un teatro dell’assurdo, una giostra del nulla. Tra gli extracomunitari c’era un pore can indiano (pakistano o bengalino, di quelle razze esotiche per capirsi) che aveva in mano delle carte per il permesso di soggiorno. Il tipo sapeva da sudore ma almeno parlava italiano e sembrava uno onesto, l’hanno mandato avanti indietro alla caserma dei carabinieri per aggiornare in un archivio il permesso di soggiorno. Alla fine credo si sia arreso.

Siamo tutti sulla stessa barca (swag barca).

Nel mentre, il mio modulo F23 mancava di un codice. Ovviamente nessuno degli impiegati sapeva di cosa stessi parlando. “Noi non lo sappiamo”, la risposta standard. Forse avrebbero dovuto dirlo a Dio quando ha inventato l’universo.

A quel punto mi sono messo in disparte, nonostante la scarsa indicizzazione di DuckDuckGo (sì, sono complottista), con due ricerche trovo un PDF con questi benedetti codici per Provincia. Compilo il modulo e lo rendo. Finalmente posso chiudere la pratica, ma non prima di aver pagato 9 euro per una raccomandata dal peso di 53 grammi.

Volevo mandare dei proiettili al ministro Lollobrigida, probabilmente costerà meno farglieli recapitare da un indios dell’agro pontino.

Il simbolo del fallimento istituzionale

Ogni istituzione che tocca le Poste perde credibilità, velocità e soprattutto la dignità di esistere. Poste Italiane è la macchina perfetta per annichilire il cittadino lavoratore, trascinandolo in una spirale di inefficienza e burocrazia. Dovremmo, per rispetto all’Italia come concetto accelerazionista, bruciarle. Arderle fino alle fondamenta, perché tenerle in piedi significa inchiodare il paese a una concezione mandolinista e fallita.

Le Poste rappresentano la Prima Repubblica che non muore, il dinosauro istituzionale che respira grazie ai fondi europei, ma che nella pratica è già morto. Nessuno ha avuto il coraggio di spegnergli il respiratore.

Kaczynski CEO delle Poste?

Ma ora arriva il colpo di scena. Anziché chiudere e basta, perché non trasformare le Poste in un vero e proprio epicentro di sovversione? Immaginate Ted Kaczynski, l’iconico Unabomber (non quello Veneto), a capo di Poste Italiane. Sembra l’incipit di un’utopia accelerazionista, ma il pensiero di un sabotatore radicale come Unabomber al vertice di una delle istituzioni più arretrate d’Italia è intrigante, forse addirittura liberatorio.

Kaczynski non è un criminale comune. È il filosofo che ha tentato di distruggere il progresso industriale, uno che ha preso di mira proprio il cuore pulsante della modernità tecnologica, mandando pacchi bomba ai migliori ingegneri statunitensi e rimanendo irrintracciabile per anni. Ora, cosa accadrebbe se il suo modus operandi venisse applicato alla logistica italiana? Se le Poste, invece di essere una macchina lenta e arrugginita, diventassero una macchina da guerra contro il sistema?

Kaczynski trasformerebbe ogni spedizione in un atto di sabotaggio. Pacchi bomba, metaforici e non, come messaggi di distruzione anti-industriale. Non più bollette da pagare, ma vere e proprie bombe per farla pagare. Immagina di ricevere un pacco che ti esplode tra le mani, accompagnato da un foglietto ciclostilato che recita:

“Il progresso ti ucciderà”

Non un attentato isolato, ma una rete organizzata di distruzione sociale. Ogni pacco un manifesto, ogni spedizione un atto di guerra sottile contro il consumo di massa.

Il cuore pulsante della controrivoluzione tecnologica

Mettiamola così: sotto Kaczynski, le Poste diverrebbero il cuore pulsante della controrivoluzione tecnologica. Non più un servizio al cittadino, ma una rete capillare per diffondere il caos. Le poste verrebbero riprogrammate per essere l’ariete che sfonda le porte della società industriale. Ogni lettera una mina, ogni pacco una sentenza di morte per il sistema.

Con Ted al comando, le Poste diventerebbero la trincea di una guerriglia culturale. Pensateci bene: un sistema postale che gioca con l’incertezza. Non puoi più fidarti di nulla. Aprire una busta significherebbe rischiare, ogni volta. Sarebbe un ritorno all’involontaria adrenalina quotidiana. E nel frattempo, il sistema morirebbe soffocato nella sua stessa paranoia.

Firmate, se osate potrebbe essere lo slogan delle nuove Poste di Unabomber. Il corriere arriva alla tua porta, ti lascia il pacco e scappa via. La sfiducia totale nel sistema diventa il nuovo mantra. E mentre i consumatori tremano, l’e-commerce implode. Amazon viene distrutto dalla sua stessa logistica. Il consumo di massa crolla sotto il peso della paura. Ted Kaczynski avrebbe finalmente ottenuto la sua vendetta: non più attentati isolati, ma una rete nazionale di disastri.

Un sistema di sabotaggio logico ed esistenziale

Non sarebbe solo anarchia. Kaczynski riorganizzerebbe le Poste con precisione chirurgica, utilizzando i metodi matematici dei suoi anni universitari. Pacchi carichi di esplosivi concettuali (ma neanche troppo…), pronti a disintegrare la fiducia nelle transazioni quotidiane. Una rottura totale, che non sarebbe solo della logistica, ma esistenziale.

Gli spot delle Poste diventerebbero capolavori della postironia. Invece di auricolari wireless impacchettati in tristi scatole che scivolano sui nastri trasportatori, vedreste pacchi bomba scivolare con un ticchettio inquietante verso la fine della modernità. Ogni spedizione diventerebbe un’opera d’arte, una performance memetica che si realizza dopo anni di diffusione su internet. E Ted Kaczynski sarebbe l’artista dietro questa visione di terrore logistico.

Le Poste come teatro del caos

Le Poste vanno bruciate perché rappresentano il passato. Ma sotto Unabomber, potrebbero essere trasformate in uno strumento di sovversione accelereazioniaria. Un teatro del caos, dove ogni pacco è una sfida al sistema, ogni lettera una mina nascosta. Unabomber come CEO delle Poste non sarebbe solo una provocazione, sarebbe la realizzazione perfetta della logica del Blast:

distruggere il passato per costruire un futuro più caotico e imprevedibile.

Se pensi che tutto questo sia assurdo, hai capito bene. È proprio questa la logica del caos accelerato.

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