Ho sempre sofferto il buio dell’inverno, e quello era particolarmente freddo e cupo. E, come se non bastasse la malinconia invernale, ero fuoricorso da un anno con ancora 90 CFU mancanti. Avevo un bisogno disperato di consolazioni e distrazioni: le trovai in Jozef, un barbone polacco, alcolizzato, ex-operaio e semianalfabeta che incontravo spesso la sera e che mi deliziava con i suoi deliri.
Quella notte, con le estremità del corpo che lentamente congelavano, andai al vecchio capannone dove aveva messo la tenda e lo trovai tutto intento a guardare un foglio. Jozef era talmente intento a guardarlo che non si accorse né della mia presenza, né dell’hamburger che gli avevo portato, né (ancora più strano) delle due bottiglie di vino che avevo in mano.
“Cos’hai lì?”
- chiesi; Finalmente si accorse di me e mi guardò frettolosamente prima di piegare nuovamente lo sguardo sul foglio.
“Una mappa di fogne”
– rispose col suo fortissimo accento polacco.
“E perché? Cosa vuoi fare? Andarci a fare un giro? Trasferirti lì?”
“No, no; nelle fogne ci sono già stato. Mi serve una prospettiva dall’alto: ho appena avuto una rivelazione!”
Quando ha pronunciato quella parola mi sono seduto per terra e ho stappato il vino: già sapevo dove saremmo finiti.
Continuò:
“Guarda la rete fognaria. Cosa ti ricorda?”
“Non so, delle strade?”
“No. Vene. Devi pensare alle vene. È esattamente la stessa cosa: le arterie portano alle cellule sangue buono e le vene portano via quello usato; le tubature fanno arrivare acqua buona e portano via quella sporca.”
“È vero”
“Non solo. Guarda la mappa delle strade com’è rispetto a quella delle fogne.”
“Praticamente uguale.”
“Esattamente. Anche queste sono vene: la città ha una respirazione lenta, lentissima, che impiega un giorno intero a fare un ciclo. La mattina le vene-strade portano le automobili-globuli verso il centro, e poi la sera, quando le risorse di chi lavora sono esauste, le fa disperdere verso fuori. Il ciclo si ripete il giorno dopo. Questa similitudine vale per moltissime altre cose: i cavi elettrici e di internet, i tubi del gas, i regionali… sono sistemi di un organismo. Apparati circolatori, linfatici, digestivi, cerebrali. Lo scopo di questi apparati è tenere in vita un gigantesco organismo: quello in cui vivi tu.”
“Ma cosa stai dicendo? Una città non può essere un essere vivente, non fa, non pensa, non si muove, non ha neanche una struttura unitaria: è solo un mucchio di palazzi e persone.”
“Perché non ne ha bisogno, e tu non te ne accorgi perché la vedi da dentro, ma se riuscissi a vedere l’insieme te ne accorgeresti. È come un batterio primordiale: non ha bisogno di pensare, gli basta poco per vivere. Anzi, assomiglia parecchio ad un’ameba: è stupida e informe ma è viva. E poi, perché sforzarsi quando hai migliaia di cellule che lavorano per te?”
“E queste cellule cosa sarebbero?”
“Tu. Io. Tutti. O meglio, voialtri. Io non faccio un cazzo. Tutte le persone che abitano qua fanno manutenzione a strade, rotaie, fogne, tralicci elettrici, tutte le persone che ci vivono e ci lavorano sono come cellule che hanno uno speciale compito dentro al loro corpo; come uno sciame di esserini che brulica confuso per tenere vivo un gigante scemo.”
Quando Jozef parla delle sue visioni mistiche inizia inspiegabilmente ad usare un italiano dal registro troppo alto per lui, come se non fosse lui a parlare ma qualche spirito che si impossessa del suo corpo.
“Quindi le città sono delle specie di superorganismi?”
“Esattamente.”
Jozef stappò l’altra bottiglia di vino, prese l’hamburger, bevve un sorso, fece un morso e continuò.
“In verità io ti dico: sono il prossimo stadio dell’evoluzione. Prima gli organismi unicellulari si unirono in grosse colonie, e specializzandosi sempre di più formarono gli organismi pluricellulari; ora questi si stanno unendo a loro volta per creare qualcosa di nuovo. E le città non sono gli unici esempi.”
“Gli altri quali sono?”
“Pensa ad una azienda. Qual è il suo scopo?”
“Produrre qualcosa? Oppure far guadagnare soldi al suo proprietario?”
“No, lo scopo dell’azienda è auto-conservarsi. Proprio come ogni forma di vita ha l’istinto di sopravvivere e riprodursi, un’azienda tramite i soldi che guadagna vuole sopravvivere, crescere, espandersi.”
“Adesso esageri. Un’azienda non fa nessuna delle cose che dovrebbe fare un organismo per potersi dire vivo, e poi non esiste nemmeno: è un’invenzione umana, un’astrazione, non la si può toccare.”
“È vero, è un’astrazione, ma comunque esiste. Sicuramente esiste in uno spazio metafisico, il Mercato, che è un universo tangente il nostro, che parte dal nostro e al nostro ritorna: ciò che succede nel Mercato influenza la realtà concreta. E poi le funzioni vitali le fa tutte, pensa ad una fabbrica: divora materie prime e caga prodotti e scarti tossici e, come dicevo, usa i soldi, che sono come il suo sangue, la sua linfa, per crescere ed espandersi, che è come una forma di riproduzione asessuata. Quindi le aziende nascono, crescono, si riproducono (ma non scopano) e possono anche morire se falliscono.”
“E anche le città muoiono, se vengono abbandonate. Già tante sono morte. Ma come può una forma di vita esistere se è formata da noi esseri umani che abbiamo una coscienza, un’individualità? Le cellule del nostro corpo mica ce l’hanno… Non credo che potrei esistere se i miei globuli rossi fossero autocoscienti e potessero fare il cazzo che vogliono.”
Feci un gran sorso di vino, Jozef ne fece due.
“La risposta è facile. Basta guardare ad oriente, alla Cina. Sai cosa succede in Cina? Te lo dico io: sorveglianza ineludibile. Sistema dei crediti sociali. Uniformazione del pensiero, della cultura. Il destino dell’umanità è quello: perdita sempre maggiore di individualità e autonomia. Parlavi di cellule: milioni di anni fa quelle avevano totale indipendenza. Poi, dopo essersi unite negli organismi pluricellulari, hanno perso l’individualità e gli sono stati assegnati dei ruoli specifici: tu, muscolo; tu, nervo; tu, pelle; tu, buco del culo. E così succederà a noi: stanno nascendo delle nuove, gigantesche, incomprensibili forme di vita che ci ingloberanno e ci faranno perdere ogni briciola di umanità.
Noi ci asserviremo volentieri, sarà la strada più comoda e sicura. Così smetteremo di esistere, l’uomo sarà irrilevante e la Storia sarà consegnata a oceaniche collettività, menti-sciame che tra di loro lotteranno, ameranno, faranno chissà cosa. L’era dell’uomo sta tramontando.”
A quel punto non riuscivo più ad ascoltare: mi alzai e me ne andai in silenzio, lasciando Jozef da solo. Camminai per la città a passi lenti, bevendo il vino rimasto sperando che l’ebbrezza mi confortasse. Ma non trovavo conforto: ora la vedevo.
Vedevo la città che pulsava. Vedevo la città che respirava lentamente sotto la sua pelle di cemento.
Provavo un enorme senso di disgusto e mi sentivo come soffocare, schiacciato dentro le viscere di un’enorme bestia.
Ora capivo quell’impressione: l’impressione che la mia vita fosse insignificante, che la vita di tutti fosse insignificante. Siamo tutti in balìa di forze ben più grandi di noi.
Arrivato a casa mi buttai sul letto. Avevo come una nausea, un disgusto, simile a quella sensazione che dopo una sbronza ti fa ripromettere vanamente che smetterai di bere.