8 mesi

NULLA ACCADE MAI

L'edging dell'Apocalisse

NULLA ACCADE MAI
Lettura boomer
Schizoanalisi di un meme che rappresenta lo Spirito del Tempo.

Nothing ever happens, nulla accade mai.

Questo è il mantra dell’epoca che viviamo, che risuona nella sfera digitale. Una frase che è diventata un meme, un lamento generazionale, un paradosso esistenziale. Il mondo, più furioso che mai, va in fiamme: guerre, colpi di stato, crolli di regimi vengono trasmessi in diretta, eppure la realtà di cui siamo spettatori ci scivola addosso senza lasciare traccia. Siamo sempre lì, a tanto così dal far accadere qualcosa e poi… boom! Nulla. Nulla accade mai. Restiamo impantanati, aspettandoci l’evento del secolo, ma niente.

“Ne usciremo migliori!” gridavano alcuni durante la pandemia. Altri speravano silenziosamente il contrario: che il collasso definitivo spazzasse via un sistema percepito come marcio. E invece, come il docente universitario in La Meglio Gioventù aveva intuito, nulla accade mai. La società post-Covid è la stessa di prima.

La frustrazione è palpabile. Una generazione cresciuta tra promesse di rivoluzioni digitali e catastrofi ambientali si ritrova a masticare delusione. Volevamo la nostra grande guerra, i nostri anni di piombo, la nostra caduta del muro. Invece abbiamo ottenuto solo lockdown, inflattivismo, noia. Perché sì, di noia si tratta.

Forse è solo noia cronica, forse infelicità personale proiettata sul mondo. Speravamo in un grande cambio che aprisse nuove finestre, forse non vogliamo vivere una vita tranquilla e lineare, ma in questa sessione di edging perpetuo ci ritroviamo sempre a bocca asciutta, perché?

Perché nulla accade mai.

Ma cerchiamo di capire perché NULLA ACCADE MAI.

Ci sarà un motivo, no? O siamo davvero così sfigati da vivere nell’epoca più noiosa della storia?

Per capire l’immobilismo, dobbiamo scavare nelle teorie di chi lo ha previsto.

Max Weber parlava di “razionalizzazione”: le società moderne sono macchine perfette, burocratizzate, che neutralizzano il caos. Gli Stati, le corporazioni, le istituzioni e – in senso ampio – la società, con il procedere del tempo divengono più efficienti, razionali e abili a controllare fenomeni inaspettati, a gestire grandi sconvolgimenti. Ogni crisi viene gestita, sterilizzata, trasformata in protocollo.

Jean Baudrillard andò oltre.

Nel suo saggio La guerra del Golfo non ha avuto luogo, sostenne che non viviamo più gli eventi, ma le loro narrazioni. Un profeta? Un visionario? Lui lo aveva capito subito: nothing ever happens.

La prima Guerra del Golfo fu un conflitto mediatico: bombe “intelligenti” in diretta CNN, bollettini militari trasformati in spot. Non abbiamo visto sangue o distruzione, abbiamo visto una fiction prodotta dal Pentagono. Nulla della guerra vera è arrivato sugli schermi allora, ma una sterile mappa con esecuzioni militari precise, pulite, come se fossimo andati in guerra e con pochi colpi precisi avessimo vinto.

In verità non è stato affatto così.

Ma non importa: la guerra del Golfo prima non sarebbe avvenuta, poi non stava avvenendo, poi non è mai avvenuta.

Lo stesso vale per la pandemia.

Il Covid non è stato vissuto come una pandemia ma come una diretta globale. Abbiamo visto numeri al telegiornale, non persone malate. Abbiamo visto mappe online invece di strade piene di avvertimenti, abbiamo vissuto una realtà che ci è stata servita.

Le crisi contemporanee oggi non sono sperimentate, sono programmate.

Fate un esperimento: spegnere il telegiornale, rifiutarsi di leggere, andare al bar, farsi un crodino e parlare della Serie A e basta.

Che prova materiale avete che qualcosa stia accadendo?

Guerre, rivoluzioni, disastri: tutto oggi viene sanificato.

Prendiamo il conflitto in Ucraina.

Mentre i carri armati avanzano, sui social divampa il dibattito su quale bandiera mettere nella bio di Instagram. Tutto il mondo segue questo schema.

La legge marziale in Corea del Sud?

Tre servizi al TG e poi basta, nulla di sostanziale è accaduto. La società è diventata davvero così resiliente?

It’s so over. We are so back.

Nello spirito del meme contemporaneo, la nostra esistenza è diventata un loop esistenziale scandito da due frasi che si rincorrono vorticosamente: “It’s so over” e “we are so back”, un mantra schizofrenico che racconta la sindrome del nostro tempo.

Il ciclo infinito della speranza e della delusione.

La prima espressione è un grido di disfattismo, un abbandono alle aspettative infrante, quando lo sguardo scruta l’orizzonte e non vede nulla di promettente, un momento in cui tutto sembra essersi definitivamente spento. Ma poi, quasi per magia, compare un nuovo binario, una possibilità inaspettata che riaccende la speranza e rimodula immediatamente il nostro stato d’animo.

Siamo esseri affamati di avvenimenti, creature che vivono nell’attesa costante che accada qualcosa di significativo, seguiamo con intensità un filo conduttore che sembra portarci verso una narrazione grandiosa, un legame tra eventi che promette di rivelarci una verità nascosta.

La tensione sale.

L’accelerazione aumenta, la tensione si fa palpabile, sentiamo che stiamo per toccare qualcosa di rivelatorio, e poi, all’improvviso, ci ritroviamo nuovamente a bocca asciutta, delusi e spaesati. Non abbiamo nemmeno il tempo di sprofondare nella disperazione che già un nuovo filo si dipana davanti ai nostri occhi, una nuova possibilità che riaccende immediatamente quell’energia cinetica della speranza, quel movimento perpetuo tra attesa e delusione che sembra essere l’unica vera costante della nostra epoca.

Ma c’è un problema.

Se nulla accade mai, perché ripetiamo questo mantra sempre più spesso?

Questo meme non è solo una battuta, è una metanarrazione, un modo per dare senso al nonsenso. Nasce per dare forma a un sentimento privo di forma, non articolabile in maniera coerente, è un fumo che respiriamo. Sappiamo che qualcosa sta accadendo, ma gli addendi sono troppo sparsi e vaghi per costruire un’equazione coerente.

Più ripetiamo che nulla accade, più intensifichiamo la frequenza del lamento. Una volta era un mantra annuale, poi mensile, ora settimanale. È come se stessimo premendo un pulsante per autoconvincerci che tutto è statico.

Cosa significa?

Se l’immobilismo fosse una bomba a orologeria?

Weber e Baudrillard avevano ragione: la società ha anticorpi troppo potenti. Ma come i batteri resistenti agli antibiotici, gli eventi stanno diventando più violenti, più frequenti, più difficili da controllare.

Nulla accade mai perché la società ha costruito degli anticorpi affinché nulla accada. La società è più competente e stabile per evitarlo, e il controllo totale della narrazione ha tolto ogni significato agli avvenimenti.

E quindi?

Le cose succedono, sappiamo che accadono, ma non abbiamo un modello di riferimento per rivolgerci indietro, un significante che ci indichi cosa farne di questi avvenimenti.

Il sistema inizia a tremare.

Se ora l’intensità sta aumentando, forse questo rigido sistema di prevenzione sta iniziando a mostrare le prime crepe.

Gli Stati Uniti sono una caldera magmatica. The Fire Rises. Meglio: il mondo è sempre più arrabbiato. La solidità del sistema rende le persone frustrate e queste cercano attori sempre più destabilizzanti.

Il desiderio di una rottura.

La sovversione della stabilità delle democrazie moderne passa attraverso la desensibilizzazione verso la radicalità. Quando Musk estende il cuore alle persone, nessuno ha paura che possa essere altro, lo desiderano, perché le persone sono affamate di una cesura netta e radicale da questa normalità stagnante.

Il rischio di un’eruzione è ogni giorno più concreto.

Più la società ha repressso la caldera magmatica profonda che ribolliva, più questa si è riscaldata. Ora, il rischio di un’esplosione è reale.

Stiamo raggiungendo una singolarità.

Le occasioni mancate affinché qualcosa accada sono sempre più frequenti, e quindi, nulla continuerà ad accadere sempre di più, finché poi – all’improvvisoaccade.

La vera domanda è: poi cosa facciamo?

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