CARRIERE ALTERNATIVE: IL CONTADINO

CARRIERE ALTERNATIVE: IL CONTADINO
Lettura zostile
Esploriamo le carriere alternative all'università, per guadagnare prima e meglio un futuro migliore.

Non è uno scherzo, il giovane contadino che ho intervistato cerca davvero una compagna di vita, peraltro il fra è anche stato contattato da un’avvenente signorina sul profilo instagram aziendale per partecipare al programma TV di Nove ma ha declinato l’invito per evidenti irregolarità e zone grigie negli spazi aziendali.

Primo insegnamento: se devi aspettare di avere tutto in regola per avviare un’attività non combinerai mai niente. 

Da cui concludiamo che l’OWN BUSINESS corre, la sburrocrazia arranca cercando di normare cose che non conosce; ma ricordate Blastidi: senza il braccio armato del controllore la sburrocrazia resta quello che è, un pezzo di carta con dell’inchiostro sopra, lettera morta. Esattamente come questi scritti senza il vostro braccio che regge il fucile della guerriglia culturale.

Disclaimer: le risposte a queste domande saranno estrapolate, travisate, decontestualizzate e usate per scrivere un articolo per ilBlast.it qualsiasi obiezione postuma all'uscita dell'articolo sarà accolta con un calcio in culo all'intervistato postulante.

Naturalmente non volevo avere sulla coscienza un giovane imprenditore rischiando finisse al gabbio, per cui userò uno pseudonimo.

T: Allora Palmiro, presentati: chi sei, quanti anni hai, dove vivi, cosa fai nella vita? 

P: Palmiro, 25 anni, vivo nel rinomato comune di Godega di Sant’ Urbano (paese natale del governatore Luca Zaia) e sono proprietario di un’azienda agricola.

T: Raccontami in 5 secondi la storia della tua vita.

P: A scuola non c’è mai stata voglia di studiare e verso i 17 anni più che alla scuola si pensava a sistemare il CIAO, uscire con gli amici o cercare di andare a figa, poi inizia il lavoro e ti accorgi che è meglio aprire un’azienda.

Contadino piaggio

T: Il verbo “studiare” in veneto è usato anche per intendere “darsi da fare”, possiamo dunque dire che la tua passione è sempre stata studiare, ma studiare a fare altro, tutto fuorché studiare….

P: Bisogna dire che le materie in campo agronomico e anche la storia e la geografia non mi sono mai dispiaciuti, sicuramente un buon prof. aiuta a farti piacere una materia ma il 90% arrivano da lande sperdute dove la disoccupazione batte forte e non credo abbiano veramente la passione dell’insegnamento. Insomma, è un discorso complicato… Come giudicare la bravura di un prof? E la sua passione per l’insegnamento? Tramite un concorso truccato? Fammi un piacere… Poi bisogna dire che con la mia indisposizione allo studio neanche Maometto poteva fare il miracolo.

T: Immagino che con questo retroterra tu non abbia mai pensato di andare all’Università.

P: Esatto, non fa proprio per me. Credo che molti giovani oggi ci vadano perché è sentito come un passaggio obbligatorio non perché si sentano effettivamente portati allo studio.

T: Sei rimasto soddisfatto della tua scelta?

P: Sì, anche perché già la scuola superiore non mi aveva particolarmente soddisfatto. Alcune materie non erano necessarie per il nostro indirizzo e ho fatto pochissime ore delle materie specializzanti, quelle materie cioè fondamentali per fare il mestiere per cui stai studiando; il tutto condito con praticamente zero pratica che nel nostro settore, si sa, aiuta. È un problema di distanza dalla realtà di chi fa i programmi educativi

T: Che lavoro hai fatto prima di metterti in proprio? Come ti trovavi e come mai hai deciso di metterti in proprio? 

P: Diciamo che l’idea mi era venuta subito dopo la scuola… Come primo lavoro ho fatto il cantiniere: tante ore di lavoro, straordinari pagati in nero e padroni* decisamente ossessivi nei confronti dei lavoratori. Posso affermare senza esagerare che il cane veniva trattato meglio dei dipendenti. Questa esperienza è stata fondamentale, è quella che mi ha fatto capire che non volevo essere dipendente.

Naturalmente la mia è un’esperienza personale, non in tutte le aziende la situazione è così tossica, tutto dipende dalla proprietà: se hai dei bravi datori di lavoro essere dipendente ha tanti vantaggi, se non si vuole avere rotture o pensieri. Ma quando il padrone è un po’ troppo rompi cazzo è meglio rischiare, fallendo anche, ma non fermarsi a lavorare per uno schiavista. 

* in Veneto sopravvive nel parlato questa forma arcaica ma molto schietta del “paròn”, il padrone dell’azienda che è anche tuo padrone. Naturalmente in italiano è preferibile la forma infinocchiata di “datore di lavoro” ma questo spesso porta a confusione, a sovrapensieri, ad affermazioni del tipo “siamo una grande famiglia” e “in azienda dovete sentirvi come a casa”. Il Veneto non ammette questa incertezza di significato - no way - il paròn è il paròn ed è meglio tenerlo in mente, sempre.

T: Di cosa si occupa precisamente la tua azienda?

P: La mia azienda è un’azienda agricola polifunzionale che produce luppolo, cereali, ortaggi e uva; mi faccio fare la birra da un birrificio con la mia materia prima (una piccola parte, la restante la vendo), l’idea per il futuro è aprire il birrificio. 

T: Coltura non usuale il luppolo in Italia… Come mai questa scelta?

P: Da noi tutti piantano vigneto a varietà Glera, io volevo fare qualcosa di diverso per differenziarmi e grazie a una dritta di un mio prof. appassionato di birra ho deciso di coltivare luppolo. Non ti nascondo che non è stato facile partire, sono andato a vedere quello che facevano i tedeschi, i polacchi, gli sloveni e gli americani, sia su internet sia andando in Germania e in Polonia. In Italia siamo ancora molto indietro sul luppolo, non c’è neanche una legge che normi i prodotti antiparassitari per cui non si può usare qualcosa di diverso dai concimi a base di rame o zolfo per difendere la pianta dalle malattie, c’è il mercato colonizzato dal luppolo estero e i birrifici che scrivono “birra italiana” anche se i cereali e il luppolo usati vengono da paesi UE ed extra UE. Insomma, i problemi da affrontare non sono pochi ma insieme ad altri produttori da varie regioni stiamo cercando di fare rete per portare queste questioni anche alla politica. Al di là di tutto questa avventura mi sta regalando delle belle soddisfazioni e i sacrifici fatti si stanno ripagando.

T: Una bella storia sicuramente, ma non vorrei che questo articolo diventi l’ennesimo articolo di Repubblica o del Corriere su quanto sia bello il ritorno alla terra ed altre stronzate. Stima le tue entrate annuali (la finanza non lo verrà a sapere).

P: Le mie entrate ora sono poche, l'azienda è aperta da poco e ci sono tante spese. Comunque il fatturato annuo si aggira tra i 50 e i 60 mila euro, quando l’azienda sarà a pieno regime, fra qualche anno, il fatturato dovrebbe salire a 70-80 mila euro con circa il 50% di utile. Ovviamente c'è margine di miglioramento.

T: A 20-24 anni si è troppo giovani per fare figli e comprare casa? 

P: Beh non sarebbe nel mio stile, ma se penso a cosa  avrebbe fatto mio nonno la risposta è facile.

A 24 anni probabilmente è tardi per fare il primo figlio quindi no, anzi: figlio, mutuo e si compra la casa. P.S.: Complimenti a chi lo fa veramente.

T: Credi ci sia futuro per i giovani in Italia?

P: Diciamo che il futuro in tutta Europa non è roseo e che le politiche green non hanno aiutato, dubito comunque sia migliore la situazione in Cina o in India tanto per fare degli esempi. Dal mio punto di vista con un po’ di voglia di lavorare e furbizia si può fare bene anche nel Bel Paese.

T: Il tuo punto di vista è  chiaro, evidentemente sei in una situazione opposta al giovane laureato che si trova proposte infime nella casella di posta. I giovani in Italia dovrebbero cambiare prospettiva rispetto alla narrativa scuola-universitá-lavoro? Oppure credi che un percorso lineare sia la scelta migliore?

P: Beh ci sono molte persone, anche i cripto guru, che dimostrano che si possono fare i soldi senza fare l’università e anche la maggior parte di imprenditori di successo,

se ce la fa un fuffa guru perché non dovresti riuscirci tu?.

T: Che razza di esempio è il cripto guru? Mi limiterò a scrivere ziopera mandarti a fare in culo e chiuderla qua che sennò il direttore mi licenzia. 

Giuseppe Prezzolini nel 1921 scriveva che gli italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. La sentenza non vuole giri di parole: il cripto guru e Palmiro dovrebbero essere i furbi… a me non resta che la parte del fesso. 

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