Ognuno ha il suo. Di Dio intendo. Non quello che meriti, dipende dove nasci. Fattore endemico a parte, arriva un momento nella vita in cui scegliamo il Dio che fa per noi. Sia Zoroastro, Manitù, Buddha o Allah o nessuno, due cose sono sicure:
La prima è che avrà come termine di paragone Gesù Cristo.
La seconda è che avrà come termine di paragone Gesù Cristo.
Non vi dice ancora niente, vero?
Il mio Dio si chiama David Fincher, è nato a Denver nel 1962 ed è un regista, almeno lo è per molti, ma per un devoto esegeta che con umile analisi ne racconta le gesta è un Dio.
Uno di quelli che invochi prima di girare un corto in cui sai ti servirà un dialogo Kubrickiano e la calma piatta a metà pellicola di un film di Hitchcock; e incenso a parte per la seduta le regole sono due: la prima è che non vi serve una tavoletta Ouija.
La seconda è che non vi serve una tavoletta Ouija.
Iniziate ad accorgervene, vero?
Mettetevi comodi perché oggi sarò il vostro cosmonautico Cicerone che vi accompagnerà nella genesi dell’universo costruito e distrutto da un Dio maledetto. Costruito per l’abbagliante potenza del suo genio, distrutto per il piacere di ricostruirlo ogni volta. Sono d’accordo con chi pensa che i veri grandi artisti, quelli annoverati nell’Olimpo del loro campo siano i gatti del mestiere, cioè quelli con più vite.
Non mi affascina chi non muore mai, amo più chi si rialza dopo le cadute.
Detto questo il mio Dio non cade, non fallisce, ma il ventre della curva c’è anche per lui, in fondo Gesù è stato preferito per la pena di morte ad un ladro brigante e violento.
Parliamo di alti e bassi, ok? Per chi già ne conosce la filmografia e lo stile forse è troppo domandargli di fingere un reset a cui segue il piacere della riscoperta, ma sforzatevi.
Per chi non lo conoscesse, tranquilli, Lui vi ha già perdonati.
In fondo ha dichiarato egli stesso che ama chi sbaglia. Personaggi che non fanno lo stesso sbaglio due volte non lo attirano, ma chi deve abbandonarsi nel crogiolo del peccato come fosse un lenzuolo di seta rossa, accompagnato dai gemiti del nostro più eccitante sogno erotico, sa di che parlo.
La Storia
All’inizio fu la pubblicità ad instradarlo in questo mondo, mise su una modesta compagnia che curava effetti speciali e di lì in poi arrivò un contratto per Alien 3, definibile una parabola più che un miracolo, ma allo stesso tempo l’inizio del maleficio.
Quale? Tempo al tempo.
Hanno inizio gli anni ‘90. Prima regola degli anni 90: guarda i film anni ‘90.
Seconda regola degli anni ‘90: guarda i film anni ‘90.
Ora ci siete.
Eppure, a confronto, oggi, abbiamo solo migliorato i film dei supereroi. Quando inizia la magia, però? Ha un momento preciso:
1994. Titolo del film: Seven.
Riferimento ai vizi capitali. Ancora la religione?
, penserete. Ve l’ho detto, è un Dio, e gli Dei si riconvertono gli uni negli altri, le loro storie si somigliano, quindi perché non partire da lì?
Quando finisci Seven, con quegli attori, quella musica, quel pathos del finale e il suo eterno dramma che solo un Dio può far valere anche fra un milione di anni per i nuovi umani che lo vedranno, capisci che per un paio di decenni di ritardo non hai potuto inserirlo sulla Voyager 1.
All’inizio dei titoli di coda potresti reagire solo con frasi di pozzettiana memoria. Mentre cerchi di capire quando hai due ore per rivederlo, sperando di conoscere qualcuno con cui condividerlo, sei ancora lì che esclami E la Madonna!
Per non perdere il tema religioso, s’intende. Uno dice: Finita lì, non puoi superarti. Riavvicinarti nemmeno.
“Taaaac!”
Ti arriva Fight Club.
Ho un modo tutto mio per spiegare Fight Club: se nel 2024 non l’hai ancora visto, è come se non avessi visto Il Padrino.
La teogenesi ha inizio qui, dove il Signor Fincher determina la condizione umana e la sua libertà a metà tra le scazzottate e i maieutici monologhi di Tyler Durden.
Per tradurvi la parte dei monologhi è come se Grosso dopo l’ultimo rigore avesse pianto insieme ai francesi. Per definizione sono impossibili, ma il protagonista senza nome del film, interpretato da Edward Norton, li renderà possibili con uno dei colpi di scena più sublimi della storia del cinema.
Successo? Niente. Critica? Mista, ma tende al negativo.
Una fatica immane, eppure, nemmeno Gesù fece incetta di follower ai suoi tempi, se la passa meglio adesso. Infatti il tempo dà ragione, anche agli Dei. Rendendolo comprensibile in termini odierni, l’hashtag Fight Club su Instagram ha 1.7 milioni di post e vi assicuro essere al 90% inerenti al film.
Red Epic
Prima che inizi la sua seconda era devono ancora passare tre film, non pochi per un regista che ne ha fatti 12 in 31 anni.
Già! Perché Fincher va diviso in due ere, come A.C e D.C, c’è l’avanti Red e il Dopo Red.
Mai sentito parlare qualche anno fa del lancio da parte di una società di un cellulare olografico? Vi assicuro che anche molti italiani hanno lasciato la caparra per averlo, ma alla fine non se ne fece molto, tra continui rimandi e niente rinnovi.
La società era la Red, che quando non perde tempo nel fare cellulari, costruisce le più belle macchine da presa del mondo
, roba che tra telecamera e accessori vari superiamo i 170.000 dollari.
Serve un corso di ingegneria per imparare ad usarle, non solo per costruirle, ed ora cominciano a girare in 8k. Da quel momento il mio Dio non le molla più e sancisce il ritorno con quello che è il suo più grande capolavoro, per me.
È il 2010 e, come il profeta rinnegatore Giona, ho un abulico distacco dalla mia grande passione.
Non vedo più film. Vi immaginate Siffredi che non va a letto con una donna?
Idem, ma è così.
Perdonate il romanticismo, ma un giorno vedo che qualcuno si è preso la briga di raccontare la storia di Facebook. Dal basso della mia apatia compatisco il tale e guardo il film senza manco sapere di chi, e da chi, fosse interpretato. Quando finisce ancora non immagino che tornerò a guardare almeno tre film alla settimana
, trangugiando anche i titoli di coda e discutendo con mia madre il perché il film che gli ha soffiato l’Oscar è già bell’e dimenticato.
Poco importa perché io sono stato il suo Lazzaro.
Ero cieco e ora vedevo.
Ero morto e ora vivevo.
Eppure l’avevo profetizzato, ma dovetti passare del tempo nella pancia di quel pesce, isolarmi nell’eremo ed infine scegliere di rimettere giacca e cravatta. L’ho fatto, risalendo sulla BMW, nebulizzandomi il Pour Homme su collo e guidando incontro alla città che ruggiva, perché il mio itinerario non fosse vano.
Il prezzo da pagare? Altissimo.
Sia per essere Dio, sia per lavorare con Lui. Andrew Garfield ha detto di aver girato 55 volte la scena in cui scopre la truffa ai suoi danni in The Social Network, si vocifera siano stati rotti 35 Mac book. Prima di una scena ha dichiarato che Fincher gli ha chiesto di andare da Jesse Eisenberg e insultarlo per farlo sentire in colpa per una cosa che lui non aveva fatto:
come tradire il suo unico amico.
Indovinate? L’ha fatto.
Immaginatevi uno che va dal parrucchiere e gli sussurra prima di iniziare un taglio Sei uno stronzo perché i giapponesi cacciano le balene.
In Mank di cui è più movimentata la copertina che il film, (ventre della curva per l’appunto) Amanda Seyfried ha detto di aver girato 200 volte la stessa scena; ma il peggio per gli attori è il dopo Fincher
, fosse destinata anche a loro un’era. ù
Spesso dimenticati, o no, non riescono più a colpire come prima nei ruoli futuri.
La Pike può annoverare L’Amore Bugiardo, poi il diluvio. Certo, ci sono Morgan Freeman, Norton, Cate Blanchett, Gyllenhaal e colui che ha lavorato più di chiunque altro con Fincher, Brad Pitt, redivivo e massimo interprete del Fincherismo, quello alla radice
.
Molti altri non ce l’hanno fatta, ma non è colpa loro, quando uno ti fa recitare meglio di come sai recitare, cosa viene dopo non avrà la stessa qualità.
Facciamo entrare Emily Ratajkowski.
La Maledizione
E la maledizione? Perché un Dio maledetto? Perché snobbato dall’Academy, ma snobbato che in confronto Scorsese è il loro preferito.
Niente Oscar, tre nomination e la tacita dichiarazione, come poi i futuri anni mi daranno ragione, di non capirci una mazza di film.
Ci hanno azzeccato così poche volte che fossi in Fincher spererei di non essere premiato, né nominato, perché continui una scia di successi amati, visti e rivisti in tutto il mondo per l’eternità. In verità vi dico:
Prima regola perché un film sia bello: vorrai rivederlo.
Seconda regola perché un film sia bello: vorrai rivederlo.
Fu in quel momento del 2011 in cui vidi la sua espressione nel sentire un altro nome che andava a ritirare la sua statuetta che compresi di non credere più agli Oscar, ma di credere in Lui
, che aveva appena girato un film con la cui sceneggiatura ti è sufficiente estrapolare le frasi per essere assunto in Apple.
Con la cui recitazione potresti invitare a cena una modella di Guess, riuscendoci. Sentii il gusto del mio fegato, ma la ruota girerà.
Il tempo mi darà ragione ancora una volta e l’abbaglio a Damasco non sarà stato inutile. Quindi sì, in quella che può esservi parsa un’apocrifa testimonianza, la risposta è:
Sì.
Fondo qui ed ora l’FC. Il Fincher Club. Prima regola del Fincher Club…ah, ma chi voglio prendere in giro?
Tyler Durden è stato nominato nel 2008 da Empire il più grande personaggio nella storia del Cinema