Sul discorso di Giuli e la (necessaria?) abolizione del Ministero della cultura

Sul discorso di Giuli e la (necessaria?) abolizione del Ministero della cultura
Lettura zostile
Giuli ha parlato, noi abbiamo una proposta da fargli...

È diventato virale un frame del primo discorso alla Camera del neoMinistro della Kultura Alessandro Giuli, perculato per aver pronunciato una supercazzola che sembrava scritta da un schizobot di Carmelo Bene. Alessandro Giuli è personaggio a cui è stato affidato il compito di ridare onore e lustro a un Ministero che, con Sangiuliano e l’affaireBoccia, era diventato l’associazione no profit di paese che organizza la festa del patrono

Gran parte dei contenuti e dei meme che circolano con il frame dell’intervento veicolano il seguente messaggio:

Giuli ha pronunciato un discorso incomprensibile, pieno di paroloni vuoti, soltanto per darsi un tono, finendo per fare una (san)Giuli(anata).

Da qui gli sberleffi di Matteo Renzi, opposizione e una parte della stampa. Alcuni illuminati hanno optato per ricorrere all’Intelligenza Artificiale (mi auguro non per reale necessità) per vederci chiaro tra le criptiche parole di Giuli. Effettivamente, il passaggio problematico del discorso, ascoltato tutto d’un ‘fiato’, è incomprensibile, anche perché è stato letto da cani, con paroloni che sembrano messi a caso, senza quell’enfasi che, forse, avrebbe reso il discorso leggermente più fruibile. Quando mi è capitato di sentirlo, ho persino pensato che ci fosse un doppiaggio o che fosse un fake. Invece era tutto vero, come è vero anche che, leggendo con un minimo di attenzione il testo, non serve l’AI per comprendere il significato delle parole della sequenza incriminata, che qui ripropongo: 

La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero: chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale nazionale non può che muovere dal prendere le misure da un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso, improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone e non solo delle ultime generazioni ha cominciato a mutare con esso.

Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia.

Chi ci legge avrà notato che, in queste poche battute, ci sono una serie di temi e termini analizzati e utilizzati anche in Blast (come ‘infosfera’, ‘accelerazioni’, ‘ipertecnologizzazione’). Il significato del pastìche di Giuli è il seguente (fanpage, LaStampa, Renzi e company prendano appunti): 

Chi si affaccia sul mondo della cultura, non può fare a meno di accettare che nuove tecnologie hanno cambiato il nostro modo di apprendere (una questione gnoseologica tutt’altro che banale). Giuli definisce questo cambiamento «quarta rivoluzione epocale» all’interno di un mondo perennemente interconnesso. Davanti a questo scenario ci sono due posture rischiose: un atteggiamento passivo nei confronti dell’accelerazione tecnologica, secondo cui ogni aspetto del progresso va bene semplicemente in quanto ‘progresso’; un secondo atteggiamento, reazionario, obsoleto, tecnofobo e anacronistico nei confronti di questa accelerazione tecnologica. 

Una posizione di moderato equilibrismo. È un po’ una summa della pedagogia contemporanea: utilizzate la tecnologia, cari fanciulli, ma nella giusta maniera (su cosa sia poi la giusta maniera solitamente si preferisce sempre sorvolare). Non è chiaro perché il neoMinistro della Cultura abbia sentito la necessità di spiegarlo con termini così difficili, oltretutto in un discorso orale, finendo per diventare un meme. Giuli in quel frame è riuscito a render tangibile, forse involontariamente, quella «borghesizzazione» e «burocratizzazione» della cultura di pasoliniana memoria (del resto, quale istituzione se non il Ministero della Cultura sancisce meglio il patto d’acciaio tra Stato e cultura?); agli occhi del popolano sarà sembrato il classico burocrate succeduto a un altro, un Azzeccagarbugli che parla un linguaggio tecnico che solo lui e pochi eletti possono comprendere.

Tralasciando ora la forma, frame decontestualizzati, linguaggio e destinatari, da un punto di vista dei contenuti Giuli ha fatto un discorso interessante, migliore di quello di tanti omologhi addietro. Ha trattato tematiche che a noi di Blast stanno a cuore, come il rapporto tra umano, tecnologie, intelligenze artificiali, ‘infosfera’ e media. Coerente è stata la posizione di un insospettabile come Andrea Colamedici, fondatore del progetto Tlon, che, intervistato da Wired, ha difeso Giuli da chi lo sbeffeggiava (soprattutto a sinistra):

«La sinistra sta commettendo da anni un suicidio intellettuale […] Quell’intervento dura un’ora e affronta molti temi e problemi che andrebbero discussi seriamente. Deriderlo significa non avere la forza per sostenere una riflessione critica e approfondita, disabituati da anni di pressappochismo bipartisan. (Giuli ha citato una serie di filosofi e personalità, come Olivetti, Heidegger, Hegel.. [n.d.a]) e lo ha fatto in maniera tutto sommato equilibrata, senza finire né nel solito ‘apocalittismo’, come l’ha chiamato lui, della destra conservatrice, né nell’entusiasmo passivo (sempre parole sue) della sinistra liberal. Ossia: né apocalittici, né integrati. Categorie vecchie, ma che sono comunque avanti anni luce rispetto al discorso pubblico».

Giuli, infine, ha concluso sostenendo che, in mezzo a queste «accelerazioni» tecnologiche, la priorità deve essere quella di garantire la centralità dell’essere umano, ringraziando anche il suo predecessore per gli ottimi risultati ottenuti. Del resto, non pochi giornali hanno congedato Sangiuliano allo stesso modo, sottolineando come le percentuali siano a suo favore come, ad esempio, la ristrutturazione di qualche edificio antico, l’incremento del 22% nel numero di visitatori dei musei italiani con un aumento del 33% negli incassi (e una connessione ferroviaria Roma-Pompei che si attiva soltanto una volta a settimana, di domenica, per ‘aumentare’ il flusso turistico nella località campana). Del resto, tale sembrano essere le principali preoccupazioni del Ministero della Cultura:

percentuali positive e grandi mobilitazioni. 

E allora perché non trasferire tutto al Ministero del Turismo? Se l’aumento delle visite ai musei è l’obiettivo finale, se l’equazione più turisti = più cultura non viene mai messa in discussione, non ha senso lasciare che la ‘culturavenga gestita direttamente da chi si occupa di hotel, voli low-cost e crociere? Lasciamo che la cultura prolifichi senza l'intralcio dell'istituzione, come un orfano senza padrone.

La cultura è cresciuta per millenni senza bisogno di un ministero; negli anni Sessanta, nemmeno esisteva questa istituzione. Eppure, le avanguardie, i grandi movimenti culturali e sperimentazioni artistiche, sono nati spontaneamente, fuori dalle maglie della burocrazia.

Forse la soluzione più efficace sarebbe quella di affidare il Ministero della Cultura a un CEO, uno di quei geni della finanza con il pallino del management strategico. Il profitto aumenterebbe, i grafici andrebbero alle stelle, le percentuali si impennerebbero come mai prima. Folle di migliaia di avventori armati di smartphone che riducono al minimo l’ossigeno intorno ai musei, alle mostre, ai convegni. In molti dei più rinomati musei francesi, si può «sostare» solo una manciata di minuti, prima che le guardie comincino a intimarti di andare avanti («ehi amico, anche quelli del gruppo dietro vogliono documentare!»). Click, filtro, hashtag, ed è fatta: la cultura è servita, esulti signor CEO-Ministro! 

Ecco perché il Ministero della Cultura si occupa essenzialmente della stessa problematica che riguarda il Ministero dei Trasporti o del Turismo: la mobilità, non la cultura o i viaggi, ma la mobilità e nient’altro che la mobilità

Quanto meno, il discorso di Giuli è sembrato per un’ora non interessarsi della mobilità, a meno che quella sua dolorosa ammissione, quella sua presa di coscienza secondo la quale siamo nella quarta rivoluzione epocale, prendiamone atto! Non significhi altro che una resa, e dopo le consuetudini formali dei primi discorsi torni a occuparsi di turismificio della cultura.

Sarebbe troppo radicale suggerire che il Ministro della Cultura si distingua, per una volta, con una scelta davvero sovversiva? Vietiamo l’uso dei cellulari nei musei, vietiamo le foto.

Togliamo la possibilità di consumarla attraverso lo schermo di uno smartphone. Cosa accadrebbe? Che il trend diventerà negativo, i musei avranno poche visite. Gran parte del pubblico si sposterebbe verso ciò che gli sta realmente a cuore: centri commerciali, ristoranti e boutique di lusso.

D’altronde, quanti sarebbero disposti oggi a pagare un biglietto solo per vedere, senza documentare?

Noi siamo pronti a sostenerla per bruciare i musei e far risorgere la Fenice della cultura.

Ci pensi, neoMinistro.

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