BARRIERA DI MILANO

BARRIERA DI MILANO
Lettura boomer
Poesia su Barriera di Milano, allucinata periferia torinese.

Barriera

di Milano

a Torino

Ho puntato su Torino

(perché ho perso il treno)

come la volpe sull’uva

invece che sulla preda ambita.

L’ambo non basta, neanche il terno al lotto,

non dico per Q8, bastava molto meno,

ma Milano è ormai irraggiungibile in treno

perfino online, digitalmente spinta

in Barriera di Milano

che è a Torino.

Lì le case di ringhiera son dette col ballatoio,

in origine brutte,

ma a Milano gentrificate tutte,

ora sono benedette,

a Torino maudit tutti e con loro le loro casette.

Io non so ben ridir com’io v’intrai:

tant’era pien del sonno a quel punto

che la meneghinità abandonai.

Che dire, era il 2020, altro tempo

per andare in controtendenza,

si dia dunque inizio alle danze

per trovare partner

succedaneo all’affitto a Milano.

Tutta mia la città,

Torino era per me,

terrorista dormiente;

aveva potenziale esplosivo

non è che mi dicesse un bel niente,

in un exploit a lungo

ponderato scambio

le sei lettere sui portali di ricerca vendo-affitto

immetto, informo i metadati dei miei desideri

(diversi da quelli di oggi, oggidì sono nata ieri)

emetto un palpito, è nato

GE-MI-TO

bebè mio

modello

la vita come un’opera d’arte

sperimentale si intende,

figlio dei miei dubbi, timori temerari,

niente tradizioni, solo miei questi apolidi

scenari!

Superba grido

“Superga Superga

über alles”

– sebben dirlo sia reato,

io ho il mandato

passato per Suburbia in giudicato,

d’adolescente ho fatto anche a Genova

quel che ho potuto

vivere

oltre il G8,

superato il triage,

avrei preferito fare la militare a Cuneo,

ma sono una donna di mondo

e

mi sono reinventata, sedotta

da nuovi esotici semiconduttori

(se mi conducono, mi seducono)

a scanso dei politici,

ex-novello

il fu siccome immobile

triangolo industriale

in forma di una moving image

che si muova via dal panorama

sgombrando la scena,

immagine d’archivio in movimento,

un passato folle in un tempo mitico,

per celebrare la fine mai troppo vicina alla Cina

della celebrata commozione per la roboante

industria malpensante e pesante.

Prima della fine dell’Ultima Generazione.

[Faccio le rime come mi pare

dacché ci ricavo mica pane da sfamare

il mio compare

partner in crime

ora in Crimea

– sono la sua amichetta mica la sua michetta -,

il mio nome non compare

per nobili questioni

di royalties

et savoir-faire,

fatemi fare, so cosa dire,

sono manierista in altra vita savoiarda.]

Prima dell’inizio dell’ultima inflazione,

lezione, razione, mozione, edizione, sanzione,

unzione, locazione,

con i risparmi per l’acculturizzazione,

c’è da comprare

comodi comodi,

comodini,

commodification a comando,

far propria proprio quella casa vista lì,

dove.it?

su subito.it!

(anzi alt-era immobiliare.it)

città che vai, Casavo che trovi,

un’offerta coi fiocchi sui pacchi,

sarà uno specchietto per pollette?

Da idealista.it

che pia vive d’urto l’utopia della vita sua,

missionaria jet-set senza emissioni,

emissaria di rivoluzioni

personali in continua formazione,

mi sradico per provare la mia agility

enigmistica ogni fine settimana,

mi metto i paletti alti di una capoeira

esistenziale

per l’aire, non mi do arie,

poco pour parler,

ça va san dire,

je vais sans dire,

incaponita con la caponata sempre sul fuoco

dell’ardore del calcare nuove passatoie

e via cal, calle per calle

a cavallo a far Krawalle

su una sella di percalle,

sposto città d’altronde e d’acchito,

altre sponde sul biliardo, azzardo

futures dall’impatto singolare,

responsive e responsabile,

che nessuno ci vada per mia sponte

nella terra di mezzo

di un dipanarsi perlopiù per capoluoghi

a formare luoghi dei punti e pontili,

città incrociate ai vertici

di un triangolo invisibilmente isoscele,

in mostra personale ripercorribile

a ritroso fissando l’avanti

à rebours voler

a voler volar

in modus angelus novus.

C’è anche la pandemia, settimana da brividi,

da seppuku,

seppure d’autunno sugli alberi le foglie.

Le stagioni in città.

Adottare soluzioni punk per sopravvivere,

mumble mumble,

eureka! Ecce Home,

video call con l’agente

cotto e comprato

da remoto,

nessuno ci ha creduto.

Scevra da carichi pregiudiziali astratti

(ma li aveva tutti tutta l’altra Torino)

contro o pro il quartiere imposto

dal libero mercato,


con la sua libera mano

in guanti bianchi d’apartheid

e orologio sul polsino di polso,

frizioni di classe

menano a lotta continua

il polso del Paese, la sera

mi teneva in pugno in un guanto di velluto,

una carezza in un pugno

mi spingeva a scivolare

per inerzia di dinamiche

da fisica sperimentale

verso il basso sul piano inclinato dei bassifondi

entro i cui limiti e paletti

avrei costruito le mie ore d’aria,

di sonno, di studio,

il lavoro così frammisto alla vita mia

da dandy stakanovista impegnata,

non retribuita da cima a monte

e anche in pianura

video artista apripista,

varavo un varco in una barriera,

quella di Milano,

come una Porta Pia portata altrove.

Iron curtain.

Cortina di Sara

Lady di Ferro

isn’t it ironic?

Ferro battuto e riso soffiato.

Mi sembrava una battuta,

un motto di spirito:

Barriera di Milano che è a Torino,

pensavo,

sapete, avrei sempre raccontato:

“Volevo guardare in direzione di Milano,

perché chi gira le spalle a Milano

le gira al pane”

panegirico per buttare lì

un dire e non dire surreale,

– un adagio potrò permettermelo

anch’io che suon veloce –

nessuno la poteva prender male,

ma io intanto infilzavo

la frecciata dei paletti miei.

In Barriera di Milano

din don done /dʌn/ din don done /dʌn/

Don DeLillo

voleva ambientare

in origin

Great Jones Street

(vicino ai Docks Dora)

sintesi di

Underworld e End Zone

(ho letto tutto sempre a letto),

ho detto why not.

Todo modo,

a modo mio, più a modino,

vicina per stanchezza

ai diseredati, che schivo,

non esercitavo la facoltà

di cui Ricchi e Poveri

il mondo è matto perché

in stessa misura dispongono

di sparare sulla croce

che altri portano,

basta non a casa mia,

per carità,

sarà un quartiere sotto i riflettori,

ne succedono dicono di tutti i colori,

sarà un quartiere spettinato,

che neanche l’esercito, ci vuole la Nato,

fra poco arriverà la cavalleria

che (ci manca),

sia non troppo rusticana,

intanto il dumping dei prezzi,


#Dumbo li prende e li porta via col 3×2,

6 troppo ingenua e speranzosa

là è un’altra casa, un’altra cosa,

Nazione Indiana,

Fort Apache regna sovrana,

hai detto forse Fortress Europe?

(tu l’hai mai vista

in qualche giro di castelli Alpitour?)

(no, vero?)

infatti

regione e ragione mussulmana.

“La gentrificazione

ti ha dato un bel quartiere”

poliziotta, assassino,

carabiniere, mignotta,

quartiere senza lotta

altro che

lotta senza quartiere

che lascia il tempo che fu,

la ritengono impertinente,

indecente disumana,

vigilessa urbana,

per quello in centro hanno tre filiali(perché ho perso il treno)

second-hand di Humana

– che è di Milano

cioè city where sistema moda

ti sistema per le feste,

nell’usato non si investe

balle di stoffa indossata rotolano

come opere di A. Boetti a Torino.
Barriera è un paradiso fiscale

perduto è con la sua perduta gente,

urge ristrutturare, inutile rimuginare,

non c’è margine per emarginare maggiormente

ciò che è al margine

di marciapiedi e marciume.


Nel ghetto niente ghette

bianche d’apartheid e di zii Paperoni

attenzionati a non bruciare i peperoni

del Conte di Carmagnola con tutti i sanculotti.

Smontata, mi monta

la scabbia nella nebbia,

qui è una gabbia

in cui spopolano popoli,

ci siam capiti male,

ci son malcapitata,

capitana d’avventure urbane troppo urbane,

console sconsolata,

annebbiata dal rendering mentalmente

già applicato sul del quartiere il selciato,

patita d’Iva,

partita per l’Iva,

creativa pro-attiva

su base contemplativa

arci futurista senza la tessera,

accelerazionista,

frenata ad intraprendere

la mia porca e parca

personale speculazione immobiliare.

E giù di gettiti. Gettati giù,

per come mi hai conciato quel balcone,

io sciuretta milanese

al di là del bene e del male

ti auguro la gentrificazione.

In Barriera di Milano

non penso mai.

A Torino.

Farsetta savoiarda

con garbo e riserbo

dell’Italietta da progetto,

sabauda al sabbath,

vernale al vermouth,

che non se ne vengano

con la fondazione egizia

che la direttrice del museo è una pallavolista,

con l’ordine supremo del Conte verde

che tanto sono già tutti al verde,

con la Madre Cimbale

che Le Cimbali sono a Binasco di Milano

e con i culti del Toro

di tutta la storia il loro capolavoro.

Tora! Tora! Tora!

tara mentale

pensare al passato

come ogni sorgente di valore

da avvallare senza attualizzarne


la validità atemporale

raison d’être del suo permanere,

essere vitale che fa il bene e vuole il male

o vuole il bene e fa il male.

Maiale. Porcile.

Pasolini bisestile. Per tutte le stagioni.

Per tutte le occasioni (mancate).

Per tutte le ragioni.

In Barriera di Milano

l’unico faro che odo

non è la Mole

né l’autorità della Gran Madre.

Madre Gran! Mal’aria. Malore.

Nessuna guida,

nessun madrigale

ma un mare lontano

star male star

come al loro paese

vuol dire qualità

l’impero dell’armonia

stars stars stars

wars wars wars

le stelle sono tante

milioni di milioni

placida è l’onda, prospero il vento.

Ho la luna storta

e falò per la testa

e altri per strada

nel mio quartiere

che sembra credano del tutto loro.

Invece che benedirgli la Palestrina da Menatori

– incontro epocale

Doctor Faustus vs. Serenus Zeitblom,

arbitro Mefistofele –

che almeno così non si sfracellano

d’alcol proibito

manco fossimo nel proibizionismo,

io li costringerei sulle punte

e sulle uova

al bacon – problemi col bacon?

capirei uova e penicillina

ah, il suino, certo,

io invece ho il favismo coi cani

che non importa una fava a nessuno,

malessere che annovererei tra le

Zivilisationskrankheiten

circoli viziosi prodotti da giri col cane,

troppi cani in giro

per poco ancora senza il girello

Teufelskreis

della serie

if/then

e.g.

– celiachia + diabete di tipo B

incontri del III° tipo

– farina 00 + gluten free.

Tutt’attorno tosse stizzosa

catapultata ad altezza occhio,

di sorpresa e di soppiatto

al di là dell’angolo incipiente,

vigorosamente bisognosa

di un vicsvaporub sociale

e un po’ di manierismo

che non fa mica male, sciocco!

scirocco di sciroppo,

phön d’omeopatia,

per contrastare della morale quella malattia

(alle radici là dove tutti i gatti

sono in bici TO-bike)

per dar di conto e di contro

alla morale della malattia,

porga il prossimo l’altra guancia,

guanciale sgualcito e guanciale di maiale

dal davanzale,

aglio metaforico per scacciare i tagliagole,

segno d’appartenenza e disuguaglianza

che se non becchi con le drops il passante

non sei niente,

se pari i colpi con la mano,

vuol dire che arrivi da un lontano

che non si addice in Barriera di Milano.

Controversa come un saggio punk

datosi alla mistica,

invento la sigla

del mio sketch

CPPB

cyber-punk-piccolo-borghese

in un revival festival di cose d’altri tempi,

per la gloria di tutta la diversità

che tira solo se ricade in quella visione

libertaria liberista

e allora metterò su il mio banchetto

alla Fiera dell’Ovest

senza che l’Oviesse ovviasse

in quel ghetto torinese in cui

si sentiranno tirati in causa per niente

per un nonnulla vorranno la mia lapidazione

ormai punizione sdoganata

per aver detto un’americanata

e aver candidato Barriera

alla 51a stella sulla bandiera

prima di Porto Rico

solo una delle tante idee provocatrici

per cambiare le sorti della narrazione

del Nuovo Ordine mondiale

come tradizione ordina

– Ordine Nuovo con sorti invertite

da Gramsci Antonio a Franco Freda,

a cui gliene frega tanto,

che gliene frega,

fregatura da guerra fredda

e fregola.

From Joy Division

et impera

TO New Order.

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